Cos’è la Pensione Integrativa? Calcoli e simulazioni per capire come funziona

Cosa si intende esattamente per pensione integrativa e perché se ne parla sempre di più?

Premessa

Pensione Integrativa, come suggerisce l’aggettivo stesso, è una seconda entrata economica che compensa la carenza della pensione statale

Come vedremo in questo articolo, la pensione pubblica rimane il pilastro fondamentale che ci sosterrà economicamente durante la nostra vecchiaia, ma non la si può più considerare sufficiente

Ecco quindi che si fa largo l’idea di una pensione aggiuntiva, integrativa appunto, che ognuno di noi deve costruire autonomamente nel corso della propria vita lavorativa. 

Il primo pilastro

La previdenza obbligatoria ci garantisce una pensione pubblica erogata dall’INPS, oppure dalla cassa di previdenza obbligatoria (per le professioni che lo prevedono, quali medici o architetti, ad esempio), a cui si è tenuti a pagare i contributi durante tutto l’arco della vita lavorativa per poter successivamente avere una retribuzione quando si andrà in pensione. 

Il diritto ad avere una pensione si matura accumulando contributi nel tempo. 

Quindi, a partire dal primo giorno lavorativo, si contano tutti i periodi di lavoro durante i quali abbiamo regolarmente versato i contributi previdenziali.

Sistema misto e sistema contributivo

Nello specifico, per conoscere il sistema di riferimento con cui andremo in pensione, bisogna fare una distinzione sulla base di un anno preciso: il 1996

Iniziando a maturare anni di anzianità contributiva prima di quest’anno si rientra nel sistema misto che è composto in parte dal sistema retributivo. 

Il sistema retributivo, come dice la parola stessa, si basava sulla media delle ultime retribuzioni. Chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi, invece, rientra totalmente nel sistema contributivo.

Con il calcolo retributivo, l'importo della pensione era legato alle retribuzioni percepite dal lavoratore e si guardavano esclusivamente gli ultimi anni di lavoro. 

L’obiettivo, infatti, era quello di mantenere una proporzionalità tra l'ultimo stipendio e la pensione che si sarebbe poi andata a percepire. 

Insomma, a livello previdenziale contava poco che si lavorasse e guadagnasse tanto o poco durante la maggior parte della tua vita professionale; gli unici anni lavorativi che contavano davvero erano solo gli ultimi.

Chi ha cominciato a lavorare prima del 1996 avrà una parte di pensione calcolata con questo metodo. Nello specifico, tutti i contributi versati entro il 31 dicembre 1995, saranno conteggiati nel sistema retributivo e tutti i contributi post ‘95 rientreranno nel calcolo contributivo. Da qui il termine “sistema misto” per chi ha contributi sia pre che post 1996

Chi, invece, ha cominciato a contribuire dal 1996 in poi, andrà in pensione esclusivamente con il calcolo contributivo, che si basa sui contributi versati dal lavoratore durante tutta la sua vita lavorativa. 

La pensione, con questo metodo, viene calcolata in base all'ammontare totale dei contributi accumulati e all'età del pensionamento

Secondo questo modello, più contributi si versano in termini di euro e di anni, maggiore sarà l'importo della pensione stessa. 

Questo sistema mira a essere sostenibile nel lungo termine, adeguando le prestazioni ai contributi effettivamente versati, è stato introdotto in Italia con la riforma Dini del 1995 (Legge n. 335/1995) e rappresenta un cambiamento significativo rispetto al precedente sistema retributivo.

Come funziona il sistema contributivo

Ogni contributo versato concorre a costruire il montante contributivo, ovvero la somma totale a partire dalla quale l’INPS (o la cassa di riferimento) calcolerà la pensione di cui ognuno di noi beneficerà una volta terminata l’attività lavorativa. 

Al momento del pensionamento, il montante contributivo viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione, che varia in base all'età del lavoratore al momento del pensionamento. 

Questo coefficiente tiene conto della speranza di vita residua, quindi più tardi si va in pensione e più alto sarà il coefficiente quindi, di conseguenza, più alto sarà anche l'importo della pensione stessa.

Come si calcola la pensione nel contributivo

Per rispondere a questa domanda facciamo un esempio pratico, prendendo per comodità delle cifre tonde. 

Ipotizziamo ci sia un lavoratore dipendente, che ha iniziato a lavorare post 1996 e che ha avuto per i primi 20 anni lavorativi una RAL media (retribuzione annua lorda) di 20.000 €, e per gli ultimi 20 anni di lavoro una RAL media di 40.000 €.

Il suo ultimo reddito lordo potrebbe essere pari a 45.000 € e, considerando i redditi medi che hanno caratterizzato la sua vita da lavoratore, troverà nel suo cassetto INPS una somma di 400.000 €. 

Perché? 

La media sui 40 anni è di 30.000 €/anno, perché per esattamente la metà del tempo in cui hai lavorato ha preso una RAL media di 20.000 € annui mentre per l’altra esatta metà del tempo una RAL media di 40.000 € all’anno. 

Calcolando il 33% (aliquota contributiva dei dipendenti) di quella RAL media di 30.000 €, troverà che i contributi versati annualmente ammontano a 10.000 € (abbiamo arrotondato per semplicità). 

10.000 €/annui di contributi versati moltiplicati per 40 anni fa esattamente 400.000 €. Questa è la somma presente nel suo cassetto previdenziale INPS.

Attenzione: queste sono cifre indicative ed esempi solo per far capire il meccanismo di funzionamento, ma nella realtà le RAL sono variabili, dato che, di anno in anno, possono subire maggiori o minori oscillazioni in base a straordinari, ferie non godute ecc… 

Inoltre, i contributi vengono rivalutati negli anni in base alla crescita del PIL, quindi il nostro conteggio non è preciso, ma ci serve per fare un esempio chiarificatore.

Quindi torniamo all’esempio e ipotizziamo che il lavoratore quando, a 67 anni, termina il suo percorso lavorativo, percepisce 45.000 € lordi di ultima RAL e ha, in totale, 400.000 € di montante contributivo. 

L’INPS non gli restituirà tutti i 400.000 € in una volta sola, bensì guarderà la media della speranza di vita in quel preciso momento storico, e creerà l’assegno pensionistico

Vediamo cosa accadrebbe nell’esempio proposto applicando la speranza di vita corrente per un pensionato 67enne.

Qui possiamo consultare i “coefficienti” di trasformazione in vigore nel 2025.

Tabella coefficienti di trasformazione in vigore nel 2025

Avendo 67 anni, il lavoratore trasformerebbe i 400.000 € in circa 22.500 € lordi all’anno.

Questo perché si applica il coefficiente relativo di 5,608% e il calcolo che ne risulta è:

400.000 € * 5,608% = 22.432 € 

A questa cifra viene successivamente anche applicato un coefficiente legato alla media degli ultimi 5 anni di PIL (Prodotto Interno Lordo) del nostro Paese. 

Più il PIL è alto e più la pensione si alzerà, ma all’opposto più il PIL è basso e più la pensione si abbasserà (per semplicità, nel continuo dell’esempio non è stato applicato alcun coefficiente relativo al PIL a quei circa 23.000 € lordi annui, ma è comunque importante essere al corrente di tutto il processo che avviene nella realtà).

Avevamo ipotizzato che il lavoratore percepisse 45.000 € di RAL annua nell'ultimo anno da dipendente. 

Nel momento in cui va in pensione si trova quindi con circa 22.500 € lordi annui, ovvero il 50% rispetto alla sua ultima retribuzione (ribadiamo che questo non è un calcolo preciso al centesimo, ma è solo un esempio per capire meglio il meccanismo con il quale si va in pensione).

Il tasso di sostituzione

Con il sistema contributivo l’assegno pensionistico sarà inferiore all’ultimo stipendio e, mediamente, rappresenterà il 50-60% del reddito annuo lordo percepito l’ultimo anno di lavoro.

Dal momento che la nostra pensione pubblica sarà molto inferiore rispetto al reddito che percepiamo come lavoratori, si rende necessario costruire una o più integrazioni che ci garantiscano un tenore di vita simile a quello a cui eravamo abituati. 

In pratica, bisogna aggiungere dei pilastri alla casetta della previdenza.

Come costruire una pensione integrativa

Le strategie e le modalità con cui garantirsi una seconda o terza entrata economica in pensione sono tantissime.

  • Si può destinare una parte del proprio risparmio mensile a forme di accantonamento comunemente denominate PAC (Piano Accumulo Capitale) che possono investire in strumenti finanziari di varia natura come azioni e obbligazioni. Questi possono essere piani d’investimento a gestione attiva, in cui un gestore abilitato decide come costruire e modificare il portafoglio d’investimento al fine di conseguire nel tempo dei rendimenti più o meno consistenti, spesso legati alla volatilità dello strumento scelto e quindi al grado di rischio a cui ci si espone. Generalmente si sceglie il piano in base alla propria propensione al rischio e all’orizzonte temporale che ci separa dal momento del pensionamento.

  • Si può anche costruire un piano con investimenti passivi, tra i più utilizzati gli ETF (Exchange Traded Funds), fondi indicizzati a gestione passiva, con costi spesso inferiori rispetto a quelli degli investimenti attivi e che replicano il rendimento di un indice di mercato senza puntare a battere il mercato.

  • Se si dispone di liquidità consistente, anziché versare mensilmente una cifra bassa e costante, si può costruire un portafoglio d’investimento diversificato in vari asset per farlo crescere e ottenerne una rendita nella fase del pensionamento.

  • Si possono fare investimenti immobiliari e acquistare degli appartamenti da affittare, ottenendo uno o più ingressi mensili aggiuntivi e costanti (al netto delle eventuali problematiche di insolvenza degli inquilini). 

Questi sono solo alcuni esempi ma gli strumenti a disposizione sono molti e variegati e tra questi c’è anche il fondo pensione che è pensato proprio per lo scopo specifico di creare una pensione integrativa

I fondi pensione

I fondi pensione sono strumenti finanziari di investimento a lungo termine, pensati per darti un sostegno economico quando smetterai di lavorare.

In concreto, puoi immaginare un fondo pensione come un contenitore intestato a te in cui, durante il corso della tua vita lavorativa, versi del denaro per accumularlo e farlo fruttare.

Qui di seguito, accenniamo alle caratteristiche e regole principali dei fondi pensione, mettendoti a disposizione tutti gli approfondimenti che abbiamo dedicato alle varie tematiche. 

Caratteristiche e regole

  1. Qualunque fondo pensione tu scelga, ti mette a disposizione diverse linee d’investimento che potrai scegliere e modificare nel tempo.
  1. In caso di necessità prima della pensione, hai la possibilità di prelevare somme di denaro dal tuo fondo sotto forma di anticipazioni previste per alcuni casi e in determinate misure.

  2. Nei fondi pensione sono previste alcune tassazioni che devi allo Stato. Qui riportiamo la principale e la più vantaggiosa: la tassazione agevolata dal 15% al 9% che si paga allo stato quando si chiude il fondo pensione perché si è pensionati. Questa tassazione viene calcolata in base al tempo: più giovane sei nel momento in cui aderisci, meno pagherai di tasse alla fine e la tassazione che pagherai verrà calcolata sulla data di prima adesione, cioè il giorno in cui hai aderito al tuo primo fondo pensione.

  1. I fondi pensione sono tutti regolati dal d.Lgs 252/2005 che ti dà la possibilità di effettuare il trasferimento di un fondo in un altro fondo, senza che la data di prima adesione cambi.
  1. C’è, invece, un caso in cui perdi la data di adesione al tuo fondo: se effettui il riscatto prima di essere in pensione.  Questa possibilità è prevista in caso di perdita del lavoro, premorienza e invalidità permanente.

  2. Quando sarai arrivato in pensione potrai ritirare il tuo fondo in tre modi:
  • 100% rendita;
  • fino al 50% in capitale e 50% in rendita;
  • 100% capitale.

Ora che abbiamo elencato le regole principali dei fondi pensione, vediamo come possono essere alimentati e analizziamo tutti i vantaggi che offrono.

Vantaggi

In fase di accumulo i fondi pensione prevedono vantaggi fiscali ed economici consistenti che non sono previsti in nessun altro tipo di strumento di investimento.

  1. TFR: questo è il primo modo con cui un dipendente può alimentare il suo fondo pensione. Se fai versare il tuo TFR nel tuo fondo, a fine corsa pagherai la tassazione dal 15% al 9% mentre, se lasci il TFR in azienda, pagherai una aliquota piena, che varia da un minimo del 23% a un massimo del 43% e che verrà calcolata in base alle tue ultime cinque RAL (Retribuzione Annua Lorda). Se lasci il TFR in azienda, più guadagni, più paghi. 
  1. Contributo volontario: se versi nel fondo una parte dei tuoi risparmi personali, otterrai il vantaggio fiscale della deduzione, cioè il meccanismo con cui lo Stato abbatte l’imponibile su cui paghi le tasse. Ogni anno, infatti, il tuo fondo pensione ti dà la possibilità di portare in deduzione fino a 5.164,57 € (i vecchi 10 milioni di Lire), recuperando la tua aliquota IRPEF massima che varia in base alla tua RAL. 
Tabella scaglioni IRPEF
  1. Contributo datoriale: questo è un “extra” previsto per i dipendenti assunti con i CCNL che prevedono l’accordo datoriale sulla previdenza complementare. Il contributo del datore è calcolato in percentuale, di solito a partire dalla RAL e può entrare ogni anno nel fondo pensione oltre al TFR. In Ciao Elsa lo definiamo “soldi gratis” perché, anche se gli importi variano da un caso all’altro, il contributo datoriale è sempre qualche centinaio di Euro in più che entra nel fondo pensione ogni anno se si sceglie di sfruttare l’accordo datoriale.

Al momento, in Italia, esistono circa 150 fondi pensione collocabili, suddivisi in tre famiglie: 

  • PIP (piani Individuali Pensionistici)
  • FPA (Fondi Pensione Aperti)
  • FPN (Fondi Pensione Negoziali o di categoria)

Tutti i fondi pensione sono sottoposti alla vigilanza della COVIP e le regole che abbiamo visto finora valgono in tutti. Tra un fondo e l’altro, però, cambiano i costi, i rendimenti e la possibilità di accedere al contributo datoriale. 

Per aiutarti nella scelta del tuo fondo pensione, noi di Ciao Elsa abbiamo creato un comparatore di fondi pensione gratuito e personalizzabile

La pensione integrativa con il fondo pensione

Come abbiamo appena visto, i fondi pensione si possono alimentare con il TFR (+ eventuale contributo datoriale) e con i propri risparmi. 

Se con i propri risparmi è possibile accedere a molti tipi di investimento diversi, con il TFR ci sono solo due opzioni: lasciarlo accantonato in azienda o farlo versare in un fondo pensione

Ecco che, anche chi non dispone di un risparmio sufficiente per investire in un PAC o in un ETF, può usare il proprio TFR per costruire la sua pensione integrativa.

Inoltre abbiamo visto che i fondi pensione si possono ritirare al pensionamento in capitale o in rendita

Nel primo caso sarà necessario investire e gestire quel capitale in autonomia, nel caso, invece, si opti per l’erogazione del fondo in rendita, si accede alla pensione integrativa vera e propria. 

Una seconda pensione che entra tutti i mesi (o anni, o semestri, trimestri, bimestri) nel proprio conto accanto alla pensione pubblica. 

Tipi di rendita

La rendita non è una sola ma ne esistono di vari tipi, vediamole una per una:

  • Rendita vitalizia immediata che ti viene erogata finché sei in vita. Quindi, se vivi molti anni potresti fare un ottimo affare perché il fondo continuerà a garantirti la rendita vitalizia anche se avrà esaurito il montante che era contenuto nel tuo fondo. Viceversa, se viene a mancare senza aver ritirato tutto, il capitale residuo se lo tiene il fondo. 
  • Rendita certa 5 anni.
    È come una rendita vitalizia, ma se vieni a mancare prima dei 5 anni, il fondo elargisce la rendita certa ai tuoi beneficiari finché, appunto, non sono terminati i 5 anni. 
  • Rendita certa 10 anni.
    Identica alla rendita certa 5 anni, ma per un periodo di tempo doppio.

  • Rendita reversibile.
    È una rendita che ti viene erogata finché vivi e, quando vieni a mancare, continua ad essere erogata al beneficiario superstite che hai scelto, finché questo è in vita. Puoi spesso decidere anche la percentuale di reversibilità, ad esempio: 100%, 80%, 70% e 60%. Presta attenzione all’età del tuo beneficiario perché se indichi qualcuno che ha molti meno anni di te, la tua rendita si riduce parecchio, in quanto viene calcolata sull’aspettativa di vita media del tuo beneficiario. 
  • Rendita controassicurata.
    È una rendita che ti viene erogata finché sei in vita e, al tuo decesso, garantisce ai tuoi beneficiari la liquidazione dell’eventuale capitale residuo. Questa è l’unica rendita che garantisce in ogni caso il ritiro del capitale complessivo. 
  • Rendita LTC (Long Term Care).
    Questa rendita raddoppia l’importo se perdi la tua autosufficienza. Per non autosufficienza si intende l’incapacità di svolgere azioni elementari come, ad esempio, mangiare da solo, mantenere livelli di igiene adeguati, spostarti, vestirti. Il raddoppio dell’importo della rendita è subordinato all’accertamento del tuo stato di non autosufficienza. Non ti basterà dichiarare di essere in questa condizione, dovrai anche sottoporti ad accertamenti da parte della compagnia assicuratrice.

Ma, come viene calcolata la rendita?

I coefficienti di conversione

La pensione integrativa viene calcolata a partire dal capitale finale contenuto nel fondo pensione, moltiplicato per dei coefficienti di conversione o trasformazione, con cui si determina l’ammontare della rendita. 

I coefficienti variano in base all’età, al sesso, alla frequenza di erogazione e al tipo di rendita richiesto.

Facciamo qualche esempio usando coefficienti di trasformazione dello stesso fondo e vedendo come cambiano in base alle variabili che abbiamo appena elencato. 

La prima tabella che vediamo è quella dei coefficienti di trasformazione in rendita vitalizia per gli uomini

Quello che vogliamo farti notare è come cambia il coefficiente a 67 anni se la rendita viene erogata annualmente o mensilmente

Tabella coefficienti trasformazione uomo rendita vitalizia

Coefficiente a 67 anni vitalizia erogazione annuale = 0,054517. 

Quindi se quest’uomo ha un fondo pensione con 100.000 €, la sua rendita sarà 100.000 € x 0,054517 = 5.451,7 € all’anno. 

Coefficiente a 67 anni vitalizia erogazione mensile = 0,053183. 

Quindi lo stesso uomo avrà 100.000 € x 0,053183 = 5.318,3 € all’anno.

I coefficienti di trasformazione previsti per le donne sono più bassi perché il genere femminile ha un’aspettativa media di vita più lunga. 

Vediamoli di seguito. 

Tabella coefficienti trasformazione donna rendita vitalizia

Coefficiente a 67 anni vitalizia erogazione annuale = 0,044449. 

Quindi se questa donna ha un fondo pensione con 100.000 €, la sua rendita sarà 100.000 € x 0,044449 = 4.444,9 € all’anno. 

Coefficiente a 67 anni vitalizia erogazione mensile = 0,043558. 

Quindi la stessa donna avrà 100.000 € x 0,043558 = 4.355,8 € all’anno.

Ora che abbiamo visto come cambiano i coefficienti in base a età, sesso e frazionamento di erogazione, facciamo altri due esempi sempre con un uomo di 67 anni e 100.000 € nel fondo pensione che, però, questa volta valuta due tipi di rendita diversi dalla vitalizia.

Nella prossima tabella vediamo la rendita Certa a 10 anni, il cui coefficiente di conversione a 67 anni è 0,052630. 

Quindi 100.000 € x 0,052630 = 5.263 € all’anno. 

188,7 € in meno all’anno rispetto alla rendita vitalizia pura che era di 5.451,7 € all’anno. 

Tabella coefficienti trasformazione uomo rendita certa a 10 anni

Ora vediamo la tabella della rendita con controassicurazione, quella che garantisce il recupero totale del capitale agli eredi. 

Tabella coefficienti trasformazione uomo rendita controassicurata

Qui il coefficiente di conversione a 67 anni è 0,038023. 

Quindi 100.000 € x 0,038023 = 3.802,3 € all’anno. 

1649,4 € in meno all’anno rispetto alla rendita vitalizia pura che è di 5.451,7 € all’anno e 1460,7 € in meno all’anno rispetto alla rendita certa a 10 anni che è di  5.263 € all’anno.

Tutti gli importi che abbiamo visto fin qui sono lordi e devono essere decurtati della tassazione dal 15% al 9% prevista alla chiusura del fondo pensione per pensionamento. 

Ogni fondo pensione, inoltre, ha dei coefficienti leggermente diversi e tutti i coefficienti possono essere modificati in futuro per adattarli al cambiamento dell’aspettativa media di vita. 

Quanto versare nel fondo per avere una pensione integrativa 

Come abbiamo visto guardando le tabelle dei coefficienti di trasformazione del capitale in rendita, per avere una pensione integrativa di 400 o 500 euro al mese è necessario che nel fondo pensione ci siano almeno 100.000 € e oltre. 

Se pensi che accantonare 100.000 € in un fondo pensione sia impossibile, sappi che invece è molto più frequente di quel che pensi.

Prendiamo il caso di un lavoratore che nel corso della sua vita lavorativa abbia una RAL media in 40 anni di circa 30.000 € lordi all’anno. 

Il lavoratore versa nel fondo pensione solo il proprio TFR e sfrutta l’accordo datoriale.

In questo caso prendiamo ad esempio le percentuali dell’accordo previste nel CCNL Terziario-Commercio: 0,55% del dipendente + 1,55% del datore di lavoro.

Ogni anno nel suo fondo entrano:

  • 2.073 € di TFR (30.000 x 6.91% la percentuale di calcolo del TFR annuo);
  • 165 € di contributo volontario (30.000 x 0,55%)
  • 465 € di contributo datoriale (30.000 x 1,55%)

TOTALE ANNUO = 2.703 €

Moltiplichiamo questo versamento annuo per 40 anni di lavoro e otteniamo il versato complessivo a fine corsa nel suo fondo pensione, cioè 108.120 €.

Senza nemmeno considerare i rendimenti e senza aggiungere risparmio personale di 50, 100 o 200 € al mese, il fondo supera i 100.000 €.

Se poi il lavoratore ha scelto inizialmente una linea volatile come una bilanciata o una azionaria e l’ha tenuta per molti anni, il risultato finale può essere molto più cospicuo.

Conclusione

Come vedi, non è necessario essere già ricchi per crearsi una pensione integrativa. 

Quello che è davvero indispensabile è essere ben informati e consapevoli di tutte le possibilità che esistono e se le finanze personali non consentono di affrontare né grandi né piccoli investimenti, si può cominciare con il TFR senza doversi privare di liquidità mensile necessaria a sostenere le spese di vita correnti.

Fonti

Condividi su