I fondi pensione sono strumenti finanziari con caratteristiche uniche che li distinguono da tutti gli altri tipi di investimento, dato che rispondono al d.Lgs 252/2005, che li ha definiti e normati.
Essi sono pensati per aiutarti una volta che sarai arrivato alla pensione.
Per tale motivo hanno anche regole molto precise sull’opportunità di farti prelevare parte dei soldi nel corso del tempo e sulla possibilità di chiuderli completamente finché stai ancora lavorando.
Accanto a queste “rigidità” ci sono anche numerosi vantaggi. Ed è proprio di tutti questi benefici offerti dai fondi pensione che vogliamo parlarti all’interno quest’articolo.
Agevolazioni fiscali
Ogni anno, in Italia, paghi le tasse in base al tuo reddito secondo questo criterio.
Meno guadagni, meno tasse paghi. Più guadagni, più tasse paghi.
Il sistema con cui vengono conteggiate le tasse che devi ogni anno allo Stato, si basa sugli scaglioni IRPEF, ovvero l’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Ecco la tabella degli scaglioni IRPEF correnti:
Sui primi 28.000 € di reddito lordo si paga il 23% di IRPEF, tra 28.000 € e 50.000 € si paga il 35% di IRPEF, mentre sul redditi oltre i 50.000 € si paga il 43% di IRPEF.
Prendiamo, ad esempio, un reddito dichiarato di 60.000 € e vediamo come si pagano le tasse:
1) sui primi 28.000 € si paga il 23% (6.440 €)
2) da 28.000 € a 50.000 € (sui successivi 22.000 €) si paga il 35% (7.700 €)
3) sugli ultimi 10.000 €, si paga il 43% (quindi ulteriori 4.300 €)
Per un totale di: 6.440 € + 7.700 € + 4.300 € = 18.440 €
Se in tutto ciò hai deciso di versare dei soldi nel tuo fondo pensione, lo Stato non solo ti dice "bravo!”, ma ti abbatte anche il reddito su cui calcola la tua IRPEF.
Quindi, detta semplice, non ti chiede le tasse su quegli importi.
Questo beneficio fiscale si chiama deduzione fiscale ed è possibile ottenerlo versando nel tuo fondo pensione fino a 5.164,57 € all’anno.
Tornando all’esempio di prima, se dichiari 60.000 € e versassi 1.000 € nel fondo pensione, risparmierai 430 € (cioè il 43% dei 1.000 € versati, perché devi sempre far riferimento allo scaglione IRPEF corretto per la tua casistica).
Se, invece, dovessi versare il massimo importo deducibile, cioè 5.164,57 €, potresti arrivare ad avere un risparmio fiscale fino a 2.220 €.
Ma i benefici non si fermano qui. Infatti, l’altro vantaggio fiscale che ti mette a disposizione la previdenza complementare è la possibilità di usufruire di una tassazione agevolata.
Tassazione agevolata sul TFR
Partiamo da una piccola, quanto essenziale, premessa: il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) può seguire due vie. Infatti, puoi decidere di lasciarlo in azienda o scegliere di farlo versare in un fondo pensione.
Nel primo caso, il TFR ti verrà liquidato dal tuo datore di lavoro quando si conclude il tuo rapporto lavorativo e lo Stato ti chiederà una tassazione sul tuo TFR liquidato pari all’aliquota media IRPEF delle tue ultime cinque retribuzioni.
Abbiamo visto poco sopra che il sistema di pagamento dell’IRPEF va da un minimo del 23% a un massimo del 43%. Ebbene, devi sapere che anche il tuo TFR lasciato in azienda verrà tassato con questo metodo.
Se, invece, decidi di far versare il tuo TFR nel fondo pensione, lo riceverai una volta che sarai pensionato. E non, come prima, a ogni cambio azienda.
In compenso, la tassazione finale nei fondi pensione è agevolata e va da un massimo del 15% a un minimo del 9%.
Ed ecco che arriviamo al nocciolo della questione.
Tale tassazione non varia in base ai tuoi redditi ma solo in base al tempo, ovvero in base all’intero periodo per il quale hai deciso di essere un aderente nei confronti dei fondi pensione.
Quindi, la domanda che a cui devi sempre saper rispondere è la seguente:
Quanti anni sono rimasto nella previdenza complementare?
Il calcolo delle tasse in base alla data di prima adesione
Partiamo dai concetti chiave che ruotano attorno all’importanza della data di adesione.
Se oggi aprissi il tuo primo fondo pensione e andassi in pensione nei prossimi 15 anni, la tua tassazione finale sarebbe la massima, ovvero del 15%.
Per ogni anno di permanenza in più oltre al 15esimo, questa tassazione diminuisce dello 0,3% all’anno, diventando così il 14,7%, poi il 14,4%, poi ancora il 14,1% e avanti così finché si blocca al minimo possibile del 9% nel caso in cui restassi iscritto alla previdenza complementare per 35 anni o più.
Quindi, il concetto alla base è molto chiaro: più giovane sei nel momento in cui aderisci, meno pagherai di tasse alla fine e la tassazione che pagherai verrà calcolata sulla data di prima adesione.
Se torniamo per un attimo al confronto fra la tassazione del TFR lasciato in azienda e quella del TFR messo nel fondo pensione, puoi notare che anche se aderisci a un fondo a pochi anni dalla data di pensionamento, pagherai un’aliquota che è almeno 8 punti percentuali in meno rispetto alla quella che avresti se lasciassi il TFR azienda.
In aggiunta, devi anche sapere che la stessa tassazione (dal 15% al 9% prevista per il TFR versato nel fondo) si applica a fine corsa anche ai contributi volontari che hai versato di tasca tua e che hai portato in deduzione fiscale.
Se hai aderito a un fondo pensione e hai versato TFR e contributi volontari sempre e solo in quel fondo, a fine corsa il calcolo della tassazione si baserà sulla data di apertura del tuo fondo e sulla data di chiusura post pensionamento.
Trasferimento da un fondo pensione
Vediamo come viene calcolata la tassazione finale se nel corso della tua vita lavorativa, hai cambiato fondo pensione effettuando un trasferimento.
Nella pratica, il trasferimento è lo spostamento integrale di un fondo in un altro fondo.
Non è come un travaso di liquidità da un conto corrente a un altro conto corrente. Nel caso dei conti bancari, infatti, puoi avere due conti e trasferire tutta o una parte della tua liquidità da uno all’altro in modo rapido e, se anche lasci zero soldi in un conto, questo continua ad esistere.
Nei fondi pensione invece, se trasferisci un fondo, chiamiamolo “Fondo A”, in un altro, che chiamiamo “Fondo B”, succede che:
- Il Fondo A non esiste più, ovvero non rimane un contenitore vuoto in cui puoi sempre decidere di versare soldi in futuro, ma tale fondo si estingue automaticamente
- Parallelamente, il Fondo B riceve tutti i soldi che erano contenuti nel Fondo A
Facciamo un esempio chiarificatore per sapere come non perdere la data di prima adesione quando ci sono dei trasferimenti tra fondi.
Nel 2012 hai aperto il Fondo A, dentro al quale, ad oggi, ci sono 35.000 €. Successivamente, hai deciso di trasferire il Fondo A in quello B, aperto più recentemente (nel 2021) e che contiene 5.000 €.
Una volta comunicato l’ordine di trasferimento, il Fondo A saprà che deve bonificare tutta la sua posizione individuale nel Fondo B e, contestualmente, estinguersi.
Una volta eseguito il trasferimento, il Fondo A del 2012 non esisterà più, mentre nel Fondo B del 2021 ci saranno 40.000 €, cioè la somma dei 5.000 € già presenti coi 35.000 € trasferiti dal Fondo A.
A questo punto, avrai un unico fondo pensione (il Fondo B), con data di adesione al 2021 e data di prima adesione alla previdenza complementare al 2012.
Quindi, anche se il Fondo B è stato aperto nel 2021, verrà tassato alla fine in base alla data di apertura del Fondo A, cioè il 2012.
Questo ti consentirà di risparmiare lo 0,3% di tasse per ogni anno a partire dal 2012 al 2021. Nello specifico, mantenendo la data di prima adesione del 2012, pagherai il 2,7% di tasse in meno sulla posizione individuale maturata alla fine.
L'articolo 11 del d.Lgs 252/05
Prendiamo, invece, il caso in cui tu abbia aderito a più di un fondo pensione nella tua vita e che, a fine corsa, abbia due o più fondi.
Come si calcola la tassazione finale?
Cambia qualcosa in base alla data di adesione a ciascun fondo?
L’art. 11 del d.Lgs 252/2005 è quello dedicato alle prestazioni dei fondi pensione.
Ora faremo un excursus un po’ noioso della legge, che però è importantissimo per capire la questione della data che potrai far valere per la tua tassazione finale.
Comma 2
Qui si stabilisce che il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabilite nel regime obbligatorio di appartenenza (cioè nel momento in cui si riceve una pensione dall’INPS o dalla cassa di previdenza obbligatoria in cui si è versato nel corso della vita professionale), con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari.
I requisiti sono quindi:
- essere pensionati
- essere all’interno della previdenza complementare da almeno 5 anni
Comma 3
Tale punto precisa le modalità di erogazione della prestazione pensionistica.
1. Opzione 100% rendita
Questa opzione ti permette di richiedere la conversione totale del capitale accumulato in una rendita mensile o annuale.
Quindi, oltre alla pensione pubblica, riceverai i soldi provenienti dal tuo fondo pensione sotto forma di assegno e, in questo caso, potrai considerarla come fosse una vera e propria integrazione della tua pensione.
Ricorda però che i due assegni, quello pubblico e quello del fondo pensione, viaggiano su 2 binari paralleli, il che significa che riceverai due distinti bonifici, uno dall’INPS (o da altra tua cassa di appartenenza) e uno dal fondo pensione.
2. Opzione tot % in capitale e il resto in rendita
Con tale modalità puoi farti liquidare una parte del fondo in capitale, al massimo il 50% della somma, e avere la restante parte sotto forma di rendita (come visto sopra).
3. Opzione 100% capitale
Molti pensano che questa opzione sia scontata, mentre non è sempre percorribile.
Infatti puoi chiedere il 100% di capitale solo se la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale (quindi di tutti i soldi accumulati nel fondo pensione) sia inferiore al 50% dell’assegno sociale.
Tale assegno, nel 2024, è pari a 6.947,33 € annuali e, di conseguenza, il 50% su cui si basa il calcolo è pari a 3.473,66 €.
Oggi, semplificando e approssimando, per avere la sicurezza di poter avere tutto il capitale, il fondo pensione non deve contenere più di 100.000 € / 110.000 € a 66/67 anni.
Comma 4 e comma 4-bis
Essi istituiscono la RITA, ovvero l’acronimo che sta per “Rendita Integrativa Temporanea Anticipata”.
Il comma 4 stabilisce che:
“Ai lavoratori che cessino l’attività lavorativa e maturino l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i cinque anni successivi, e che abbiano maturato, alla data di presentazione della domanda di accesso alla rendita integrativa di cui al presente comma, un requisito contributivo complessivo di almeno venti anni nei regimi obbligatori di appartenenza, le prestazioni delle forme pensionistiche complementari, con esclusione di quelle in regime di prestazione definita, possono essere erogate, in tutto o in parte, su richiesta dell’aderente, in forma di rendita temporanea, denominata “Rendita integrativa temporanea anticipata” (RITA), decorrente dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia e consistente nell’erogazione frazionata di un capitale, per il periodo considerato, pari al montante accumulato richiesto. Ai fini della richiesta in rendita e in capitale del montante residuo non rileva la parte di prestazione richiesta a titolo di rendita integrativa temporanea anticipata.”
In pratica, essendo inoccupato da almeno un giorno, puoi utilizzare RITA per un massimo di cinque anni, fino al compimento dell’età di vecchiaia, chiedendo il 100% del tuo fondo pensione, oppure una percentuale minore.
In tal caso (chiedendo una percentuale minore), rimane ferma la possibilità di avere il capitale residuo o la rendita, sempre calcolata su ciò che è rimasto, quando sei arrivato alla pensione.
Il d.Lgs 252/2005 prosegue, poi, inserendo col comma 4-bis un’altra possibilità:
“La rendita anticipata di cui al comma 4 è riconosciuta altresì ai lavoratori che risultino inoccupati per un periodo di tempo superiore a ventiquattro mesi e che maturino l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i dieci anni successivi.”
Cioè?
Significa che puoi estendere RITA anche fino a 10 anni, ma, per richiederla, devi essere disoccupato da almeno 24 mesi.
Comma 6
Qui il comma recita:
“Sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche comunque erogate è operata una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. Nel caso di prestazioni erogate in forma di capitale la ritenuta di cui al periodo precedente è applicata dalla forma pensionistica a cui risulta iscritto il lavoratore; nel caso di prestazioni erogate in forma di rendita tale ritenuta è applicata dai soggetti eroganti. La forma pensionistica complementare comunica ai soggetti che erogano le rendite i dati in suo possesso necessari per il calcolo della parte delle prestazioni corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta se determinabili.”
In pratica, se ti viene dato tutto in capitale, sarà il fondo stesso a girare le tasse allo Stato e a liquidarti il netto, operando come sostituto d'imposta.
Se chiedi la rendita, invece, sarà il soggetto incaricato all’erogazione che si occuperà di dare allo Stato le tasse dovute e saprà quanto dovrà versare allo Stato e quanto a te, siccome il tuo fondo pensione gli fornirà le informazioni e lo storico necessario.
Quello su cui è necessario soffermarsi con particolare attenzione è questa frase:
“per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari”
Il d.Lgs 252/2005 non parla di partecipazione al fondo pensione specifico, ma alla partecipazione a forme pensionistiche complementari.
38.3.5 Comma 9
La stessa locuzione al plurale è usata anche al comma 9, che riporta:
“Ai fini della determinazione dell’anzianità necessaria per la richiesta delle anticipazioni e delle prestazioni pensionistiche sono considerati utili tutti i periodi di partecipazione alle forme pensionistiche complementari maturati dall’aderente per i quali lo stesso non abbia esercitato il riscatto totale della posizione individuale.”
Ciò che ti serve sapere
Ora vediamo, nel concreto, ciò che interessa davvero a te, cioè come si svolge tutto questo che finora ti abbiamo detto in termini “legalesi”.
In generale, quando aderisci a un fondo pensione, nel modulo di adesione trovi le domande:
- Hai già un fondo pensione?
- Quale?
- Qual è la tua data di prima adesione?
Se inserisci questi dati, il nuovo fondo prende nota della data di prima adesione precedente e, in alcuni casi, la esplicita anche nei documenti ufficiali.
In alcuni casi però, i fondi ti chiedono, per la visibilità della data “più anziana”, il trasferimento del fondo precedente. Se non lo fai, non vedrai indicate le due date come qui sopra, ovvero quella di adesione al nuovo fondo e quella di prima adesione alla previdenza.
Nonostante ciò, questo non significa che tu sia obbligato a trasferire il fondo vecchio in quello nuovo. Semplicemente non vedrai esplicitate entrambe le date.
Quando poi chiuderai il fondo pensione più recente perché sei arrivato alla pensione, ti dovrebbe bastare dimostrare al fondo che quello precedente esiste ancora, portando l’estratto conto aggiornato.
Il fondo più recente che hai deciso di chiudere, recepirà la data di adesione di quello precedente e liquiderà di conseguenza.
In alcuni casi molto recenti, noi di Ciao Elsa stiamo riscontrando che questa prassi non viene sempre seguita. E questo è anche grazie a tutte le vostre segnalazioni!
Alcuni fondi pensione, infatti, hanno liquidato all’aderente la prestazione finale applicando la data di adesione al loro fondo anche se l’aderente aveva ancora attivo un fondo più anziano.
Precisiamo che questi episodi di cui abbiamo notizia sono tutti post 2023 e che, invece, a noi, nella nostra esperienza di 15 anni nel settore assicurativo, non era mai capitato nulla di simile.
Anzi, al momento di richiedere la prestazione pensionistica abbiamo sempre visto liquidare i soldi presenti all’interno del fondo pensione applicando l’aliquota corrispondente al calcolo, tenendo conto della data di prima adesione alla previdenza, a patto, ovviamente, di dimostrare di non aver chiuso anticipatamente per riscatto il fondo precedente di cui si voleva far valere la data.
Bene, ma veniamo a questi casi recenti.
La motivazione addotta dai fondi pensione che NON stanno riconoscendo la data di prima adesione, se non nel caso in cui il fondo precedente sia stato trasferito, si rifà a una casistica di richiesta di RITA, quindi non di prestazione pensionistica, ma di rendita integrativa temporanea anticipata, nonché alla possibilità di farsi liquidare parte del proprio fondo pensione prima della pensione, a determinate condizioni.
Qui, tramite interpello, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata in maniera molto chiara, anche se a noi restano delle perplessità.
Vediamo nel dettaglio in cosa consiste l’ Interpello n. 901-674/2023 e cerchiamo di capire meglio come comportarsi da adesso in avanti.
Nel 2023, un aderente aveva richiesto RITA al suo fondo pensione che aveva aperto nel 2014.
Questa persona era ancora iscritta anche a un altro fondo, aperto nel 1993.
Il fondo del 2014 non ha però recepito la data di prima adesione del 1993 ai fini del calcolo della tassazione della RITA, come noi ci saremmo aspettati (e anche l’aderente, ovviamente). L’aderente ha quindi contestato la tassazione applicata alla sua richiesta di RITA.
Vediamo cosa dice il Comma 4-ter del d.Lgs 252/2005 a proposito della tassazione di RITA:
“La parte imponibile della rendita anticipata di cui al comma 4, determinata secondo le disposizioni vigenti nei periodi di maturazione della prestazione pensionistica complementare, è assoggettata alla ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali.”
Insomma, la legge anche per RITA, parla dello scendere della tassazione in base agli anni di partecipazioni “a forme pensionistiche”, mantenendo quindi sempre quella forma al plurale discussa prima.
Eppure, l’Agenzia delle Entrate, esprimendosi su questo caso con l’interpello 901 del 2023 (https://www.mefop.it/cms/doc/28274/risposta-a-interpello-ae-del-26-gennaio-2024(1).pdf), ha confermato che la tassazione è quella che riguarda il singolo fondo e che, quindi, l’unico caso in cui si può far valere un’eventuale data antecedente è quello in cui si sia effettuato il trasferimento, perché, come abbiamo spiegato poco fa, è pacifico che, in caso di trasferimento, il fondo trasferito “regali” la data di adesione al fondo che accoglie il trasferimento stesso.
A questo punto andiamo a vedere il perché di tutto ciò.
L’Agenzia delle Entrate richiama una propria risoluzione del 2022 (la numero 9: https://www.covip.it/sites/default/files/discipline_fiscali/risoluzione_9_16022022.pdf) dove, effettivamente, l’Agenzia stessa, parla sempre di RITA e di calcolo dell’aliquota del singolo fondo, e non dell’adesione a forme pensionistiche complementari.
Come vi abbiamo letto poco fa, questo sembrerebbe in disaccordo col testo della legge, e quindi noi di Ciao Elsa abbiamo provato a ragionare sul perché, riuscendo (forse) a trovare una risposta definitiva.
Il comma 4-quater sempre del d.Lgs 252/2005, infatti, quando parla di RITA dice che:
“Le somme erogate a titolo di RITA sono imputate, ai fini della determinazione del relativo imponibile, prioritariamente agli importi della prestazione medesima maturati fino al 31 dicembre 2000 e, per la parte eccedente, prima a quelli maturati dal 1º gennaio 2001 al 31 dicembre 2006 e successivamente a quelli maturati dal 1º gennaio 2007.”
La spiegazione che ci siamo dati è che, quando si chiede RITA, le somme dell’imponibile, cioè la parte che andrà assoggettata a tassazione, vadano imputate prima agli importi più “anziani” e poi agli importi più “recenti”.
Ciò è possibile solo se, in presenza di più fondi, gli stessi vengono uniti con trasferimento.
A questo punto si potrà calcolare un unico imponibile, far scalare i soldi di RITA a partire dalle somme meno recenti fino alle più recenti e far valere la tassazione più favorevole data dalla prima data di adesione.
Eppure non siamo del tutto convinti, diciamo la verità.
O meglio, ipotizziamo che, essendo RITA un istituto particolare ed essendo stata introdotta solo dal 2018, l’Agenzia delle Entrate possa aver interpretato in maniera “stringente” la questione, ma quello che troviamo molto strano è che, sulla base di questa motivazione, che è da riferirsi a RITA, si vada a estendere un’interpretazione, quella del calcolo dell’aliquota prendendo a riferimento il singolo “fondo” quando ovunque il testo di legge, che dovrebbe prevalere su tutto il resto, parla di forme pensionistiche complementari.
Inoltre, la COVIP, quando era stata interpellata circa la questione, aveva fatto presente (relazione annuale del 2012, pag. 101):
"che l’anzianità necessaria ai fini della maturazione degli otto anni previsti per accogliere alcune richieste di anticipazione non può essere limitata al periodo maturato presso il fondo al quale è stata presentata la richiesta di anticipazione, ma deve essere calcolata considerando la complessiva permanenza in forme pensionistiche complementari."
Inoltre, sul sito COVIP, in risposta alla domanda “Come è tassato il riscatto?”, troviamo nelle FAQ il seguente testo:
“Quanto deriva dai contributi versati a decorrere dal 1° gennaio 2007 è assoggettato ad una ritenuta a titolo d’imposta del 15%; tale percentuale si riduce in funzione dell’anzianità di partecipazione al sistema della previdenza complementare.”
Aggiungiamo e ribadiamo che per la nostra esperienza non abbiamo mai trovato problemi all’applicazione dell’aliquota relativa al fondo pensione più “anziano”, anche in assenza di trasferimento.
Se però dovessi riscontrare problemi circa queste tematiche, ti invitiamo a contattarci direttamente, così che insieme possiamo trovare la soluzione migliore per affrontare la tua casistica specifica.