
Cambiare lavoro è diventato ormai un’esperienza comune a molti lavoratori. Le trasformazioni del mercato, la diffusione di contratti flessibili e la mobilità professionale hanno reso sempre più frequente il passaggio da un settore all’altro e, di conseguenza, il cambio del contratto collettivo nazionale (CCNL).
Questo cambiamento, però, può sollevare diversi interrogativi quando si tratta di previdenza complementare.
Infatti, chi ha aderito a un fondo pensione negoziale (detto anche fondo di categoria), come Cometa, Fon.te, Previmoda o altri, potrebbe chiedersi cosa accade alla propria posizione una volta che ha “perso i requisiti di partecipazione al fondo”, cioè quando un iscritto cessa di avere i requisiti contrattuali per rimanere nel proprio fondo pensione, generalmente a causa della cessazione del rapporto di lavoro e, in alcuni fondi negoziali, del cambio di settore lavorativo.
È necessario chiudere il fondo? Si possono mantenere i versamenti? Oppure conviene trasferire la posizione in un altro fondo pensione?
La buona notizia è che la normativa sulla previdenza complementare italiana è stata costruita proprio per garantire flessibilità e continuità, anche in presenza di cambiamenti lavorativi. Le regole previste dal decreto legislativo 252/2005, che disciplina la materia, consentono diverse soluzioni, ognuna con le sue implicazioni pratiche e fiscali.
Vediamo più nel dettaglio quali sono e come funzionano le opzioni disponibili e in quali casi può essere preferibile una soluzione rispetto alle altre.
Mantenere la posizione in stand-by nel “vecchio” fondo pensione
Quando un lavoratore cambia il settore lavorativo, può accadere che il nuovo contratto sia collegato a un fondo pensione negoziale diverso dall’attuale, ma il rapporto con quest’ultimo si interrompe solo parzialmente.
È vero che, con il cambio, il nuovo datore di lavoro potrebbe non poter continuare a versare il TFR maturando e il contributo aziendale, ma la posizione individuale resta comunque attiva.
Ciò significa che il capitale accumulato continua a essere gestito e investito dal fondo secondo la linea scelta dall’iscritto.
L’iscrizione, dunque, non si estingue automaticamente: il lavoratore rimane iscritto a pieno titolo, pur non potendo contribuire con la nuova azienda. Si tratta quindi di una soluzione utile per chi apprezza il fondo di origine, magari per i costi contenuti o per i buoni risultati di gestione, e desidera mantenerlo attivo.
Contribuzione in più fondi pensione
L’iscritto può non solo scegliere se lasciare la posizione nel vecchio fondo pensione in una sorta di “stand-by” ma anche valutare se proseguire attivamente con versamenti volontari, anche in assenza dei versamenti del nuovo datore di lavoro.
La decisione di contribuire resta del tutto libera: il lavoratore può stabilire se e quanto versare nel vecchio fondo, definendo importi e periodicità secondo le proprie possibilità. I versamenti possono avvenire in modo ricorrente, ad esempio tramite un addebito mensile, oppure in forma occasionale e, in entrambi i casi, con la certezza di continuare a beneficiare delle agevolazioni fiscali.
Ricordiamo infatti come i versamenti volontari e il contributo datoriale siano deducibili fiscalmente fino ad un massimo di 5.164,57 euro all’anno. Questo significa, che su un versamento di 1.000 euro, il ritorno fiscale per un lavoratore con un reddito:
- entro i 28.000 € è di 230 €
- tra i 28.000 € e i 50.000 € è di 350 €
- sopra i 50.000 € è di 430 €
Quindi, se uno dei tuoi dubbi era proprio se fosse possibile avere e contribuire a più fondi pensione, la risposta è assolutamente sì.
Nel caso che stiamo analizzando, è infatti possibile mantenere aperta la posizione nel vecchio fondo e aderire contemporaneamente al nuovo fondo negoziale previsto dal contratto di lavoro attuale e/o ad un fondo aperto e/o a un PIP.
In ogni caso, il lavoratore si troverebbe con due o più posizioni previdenziali distinte, gestite da fondi diversi. È una scelta che può sembrare insolita, ma che in alcuni casi risulta strategica.
Innanzitutto, pur avendo più fondi pensione attivi, l’iscritto mantiene un’unica data di prima adesione al sistema della previdenza complementare, coincidente con quella del primo fondo sottoscritto. Questo dettaglio è tutt’altro che marginale.
La data di prima iscrizione, infatti, resta il riferimento valido per il calcolo della tassazione agevolata sulle prestazioni finali e per la richiesta di anticipazioni, anche se presente in un altro fondo intestato all’iscritto.
Per garantire che questi vantaggi vengano riconosciuti correttamente, è importante comunicare ai fondi sottoscritti successivamente l’esistenza di una precedente iscrizione, indicando la relativa data.
Altro vantaggio riguarda la diversificazione degli investimenti: distribuire il proprio risparmio previdenziale su due o più gestioni consente di sfruttare politiche d’investimento differenti. Un fondo potrebbe avere una maggiore esposizione azionaria, l’altro una strategia più prudente; uno potrebbe offrire costi più bassi, l’altro una maggiore gamma di comparti.
Chi decide di mantenere più fondi pensione deve però considerare attentamente alcuni aspetti pratici.
Innanzitutto, come già ricordato, il limite di deducibilità fiscale resta complessivo: l’importo massimo deducibile dal reddito imponibile IRPEF è di 5.164,57 euro all’anno, indipendentemente dal numero di fondi a cui si partecipa. Ciò significa che, se si versano contributi su più posizioni, la deduzione complessiva non può superare tale soglia. Ricordiamo che il TFR non rientra nel conteggio della soglia di 5.164,57 annui.
Terzo vantaggio riguarda direttamente la fase di liquidazione finale del fondo pensione. Alla pensione, l’iscritto può valutare se ritirare il suo fondo pensione in una di queste modalità:
- 100% in forma di rendita
- 50% in forma di rendita - 50% in forma di capitale
- 100% in forma di capitale, ma non sempre.
Si può infatti chiedere il 100% del fondo in forma di capitale solo se la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale produce una rendita vitalizia di importo inferiore al 50% dell’assegno sociale previsto per quell’anno.
Se “giriamo” la formula, si può dire che è possibile ricevere tutto il proprio fondo pensione, direttamente in conto corrente, se il suo valore non supera una determinata “soglia finanziaria” pari, generalmente, a 67 anni, a:
- 100 - 110 mila € per gli uomini
- 115 - 120 mila € per le donne.
Attenzione: se sei un dipendente pubblico iscritto a un fondo pensione negoziale di categoria, ti suggeriamo di leggere anche questo ulteriore approfondimento perché, te lo anticipiamo, le modalità di erogazione delle prestazioni finali potrebbero essere differenti.
In ogni caso, il limite si applica a ciascun fondo pensione singolarmente.
Ciò significa che, se un lavoratore possiede due fondi distinti e, in entrambi, la posizione maturata rientra sotto la soglia prevista, può valutare la possibilità di richiedere la liquidazione in conto corrente di entrambi i montanti.
In sintesi, mantenere il vecchio fondo negoziale può quindi essere particolarmente sensato se si tratta di una posizione già consistente, magari con buoni rendimenti storici o con un comparto di investimento che si desidera mantenere nel tempo.
Al contempo, aderire al nuovo fondo consente di continuare a destinare il TFR alla previdenza complementare e, se si tratta di un altro fondo negoziale, di non rinunciare ai contributi del datore di lavoro, che come ci piace chiamarli in Ciao Elsa sono “soldi gratis” e una leva fondamentale per la crescita della posizione previdenziale.
Trasferire la posizione a un altro fondo pensione
Quando il nuovo contratto collettivo prevede l’adesione a un diverso fondo negoziale, un’alternativa può essere quella di richiedere il trasferimento della posizione individuale.
Questa opzione consente di proseguire senza interruzioni il proprio percorso, spostando tutto il capitale maturato nel nuovo fondo e portando con sé la data di prima iscrizione alla previdenza complementare.
Sotto il profilo normativo, il trasferimento può essere sempre richiesto dopo almeno due anni di iscrizione per tutti i fondi pensione, ma, in caso di cambio di CCNL o di “perdita dei requisiti”, il trasferimento è sempre immediatamente possibile, anche prima del biennio.
Per esempio, immaginiamo:
- un lavoratore di una cooperativa che nel 2024 si è iscritto al fondo pensione Previdenza Cooperativa e
- oggi, nel 2025, passi al settore dell’energia (dove opera Fondenergia).
Il lavoratore può trasferire subito la posizione da Previdenza Cooperativa a Fondenergia e, al contempo, portare con sé la data di prima iscrizione del 2024.
L’operazione non comporta oneri o penalizzazioni. Il capitale accumulato, comprensivo dei rendimenti, viene trasferito integralmente nella nuova posizione ed è fiscalmente neutro: non si applica alcuna imposta sul capitale trasferito, poiché non si tratta di un prelievo, ma semplicemente di un cambio di fondo.
Potrebbe essere prevista una commissione a copertura delle spese amministrative sostenute dal fondo di origine per la gestione della pratica di trasferimento. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i fondi pensione negoziali non applicano alcun costo quando il trasferimento avviene a seguito di un cambio di settore o di contratto collettivo, proprio per agevolare la continuità della posizione previdenziale dell’iscritto.
Relativamente alle tempistiche, bisogna ricordare che la normativa prevede un periodo massimo di 6 mesi per completare l’operazione, ma, per numerosi fondi pensione, i tempi si riducono a 3/4 mesi se non sono presenti errori o anomalie nella richiesta di trasferimento.
Richiedere il riscatto della posizione
L’ultima opzione possibile è quella di riscattare la posizione, cioè richiedere la liquidazione del capitale maturato nel vecchio fondo per aver appunto perso i “requisiti di partecipazione”, ovvero aver terminato il rapporto di lavoro con l’azienda con la quale si era iscritti.
È una scelta che chiude definitivamente il rapporto con il fondo pensione e che, per questo motivo, andrebbe valutata con estrema prudenza.
Lo svantaggio principale della chiusura definitiva del fondo pensione è la perdita della data di prima iscrizione alla previdenza complementare. Si tratta di un dettaglio che può sembrare poco rilevante se non si prevede di aderire nuovamente a un fondo in futuro, ma che può avere conseguenze importanti qualora si decida, anche dopo anni, di riaprire una posizione.
Conservare la data di prima iscrizione permette infatti di mantenere l’anzianità alla previdenza complementare, un elemento fondamentale sia per poter accedere più rapidamente alle anticipazioni sul capitale accumulato, sia per beneficiare di una tassazione più favorevole al momento del pensionamento, che dal 15% può scendere di uno 0,3% per ogni anno successivo al quindicesimo fino ad un minimo del 9%.
Per questo motivo, molti fondi pensione negoziali, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione, consentono all’iscritto di optare non solo per il riscatto totale, ma anche per un riscatto parziale, nella misura, ad esempio, del 75% della posizione maturata. In questo modo, il lavoratore può ottenere una parte della liquidità accumulata senza tuttavia perdere la data originaria di adesione, che rimane valida finché il fondo non viene chiuso definitivamente.
Tuttavia, anche se in misura parziale, il riscatto può avere conseguenze negative, perché comporta l’interruzione del percorso di accumulo e la perdita dei vantaggi di lungo periodo della capitalizzazione composta.
Un altro aspetto da considerare riguarda poi il regime fiscale applicato ai riscatti effettuati in caso di perdita dei requisiti di partecipazione: in queste situazioni non si applica l’imposta finale agevolata prevista al momento del pensionamento (dal 15% fino al 9% in base agli anni di iscrizione), bensì un’aliquota separata e definitiva pari al 23%.
Si tratta di un’imposizione più favorevole rispetto a quella applicata al TFR lasciato in azienda, che è calcolata sulla media IRPEF degli ultimi cinque anni e può quindi risultare superiore al 23% per chi ha redditi maggiori ai 28.000 euro annui; tuttavia, rimane comunque meno vantaggiosa rispetto a mantenere la posizione nel fondo fino al pensionamento o trasferirla in un altro fondo pensione.
In pratica, si ottiene subito una somma di denaro, ma si rinuncia alla possibilità che quel capitale continui a crescere nel tempo e, al contempo, subendo una tassazione maggiore rispetto a quella prevista alla pensione. Per questo motivo, il riscatto andrebbe considerato solo in presenza di reali necessità economiche o se si decide consapevolmente di non voler più proseguire nel sistema della previdenza complementare.
In conclusione
Cambiare lavoro non significa abbandonare la propria storia previdenziale. Al contrario, la previdenza complementare offre strumenti flessibili per accompagnare i percorsi professionali sempre più dinamici di oggi.
Per la gestione del proprio fondo pensione, ogni opzione ha senso in contesti diversi. La scelta giusta dipende dal proprio orizzonte temporale, dalle prospettive di carriera, dalla situazione economica e dal livello di conoscenza del sistema.
Il consiglio, in ogni caso, è di non agire d’impulso. Informarsi, confrontare i fondi, valutare costi e rendimenti e, se necessario, chiedere il supporto di un consulente previdenziale può fare la differenza. Perché anche una decisione apparentemente “tecnica”, come cosa fare con il “vecchio” fondo negoziale, può incidere in modo concreto sulla serenità economica del futuro.
Il servizio Elsa Premium Smart risponde proprio a questa esigenza: una consulenza personalizzata di 60 minuti pensata per analizzare in dettaglio la tua situazione, comprendere il funzionamento dei singoli fondi pensione e valutare insieme le strategie più efficaci di pianificazione del futuro, inclusi i trasferimenti tra fondi pensione.

