La pensione è un tema complesso e delicato perché riguarda una parte della vita in cui non lavoreremo e dovremo contare su un introito economico che ci verrà dato dallo Stato.
Immaginiamo la previdenza come se fosse una casetta che ci proteggerà economicamente quando smetteremo di lavorare.
Ovviamente, per essere solida, questa casetta ha bisogno di reggersi su alcuni pilastri.
La previdenza obbligatoria
Il primo pilastro è la previdenza obbligatoria, alimentata con i contributi che tutti i lavoratori devono versare ogni anno all’INPS o alle casse professionali.
Questi versamenti non sono facoltativi, ma dovuti e servono a sostenere il sistema pensionistico pubblico che è un sistema a ripartizione.
Ciò significa che i contributi versati oggi non sono accantonati per pagare, in futuro, la pensione di chi li ha versati, ma, invece, vengono spesi proprio ora per pagare le pensioni attuali.
Questo primo pilastro, quindi, si basa sulla capacità dei lavoratori di versare contributi sufficienti per pagare le pensioni a chi ha maturato i requisiti per non lavorare più.
Fino a qualche anno fa, chi smetteva di lavorare, aveva garantita una pensione molto simile al suo ultimo stipendio e il sistema pensionistico obbligatorio pubblico bastava a sorreggere le casette dei pensionati.
Per ragioni economiche e demografiche, da cui dipende la sostenibilità nel tempo del sistema pensionistico, chi andrà in pensione in futuro potrà contare su un’entrata economica molto più bassa, spesso tra il 50% e il 60% del suo ultimo stipendio.
Il primo pilastro, quindi, non basterà più a sorreggere la casetta ed ecco perché si sente sempre più spesso parlare di fondi pensione.
La previdenza complementare
Questo tipo di previdenza, oggi, è facoltativa ma sempre più necessaria, in quanto può aggiungere due ulteriori pilastri accanto al primo obbligatorio.
La previdenza complementare in Italia è regolata dal Decreto Legislativo 252/2005, che ne sancisce il funzionamento, trattando le regole, gli sgravi fiscali, le possibilità e gli obblighi.
Il secondo pilastro è rappresentato dal TFR, il Trattamento di Fine Rapporto, che si può far custodire al datore di lavoro oppure far versare da quest’ultimo in un fondo pensione.
Il terzo pilastro è a disposizione di chiunque, compresi liberi professionisti e lavoratori autonomi, e consiste in versamenti volontari di denaro che si possono effettuare dal proprio conto corrente, direttamente all’interno del proprio fondo pensione.
In agosto 2024, all’interno della maggioranza di governo, si è cominciato a discutere di potenziali modifiche da apportare, non tanto alla previdenza complementare in sé, quanto alle modalità di accesso alla stessa, da parte di tutti coloro che maturano un TFR: i lavoratori dipendenti.
Le ipotesi proposte
Si tratta di due modifiche che sono state avanzate da esponenti della maggioranza di Governo e che riguardano:
- l’obbligo di versare il 25% del proprio TFR a una forma di previdenza complementare
- l’introduzione di un semestre di silenzio/assenso
Premesso che, allo stato attuale, queste ipotesi sono oggetto di discussione e possono essere modificate prima di diventare effettive, oppure venire ritirate, in questo articolo cercheremo di dare una panoramica quanto più esaustiva possibile di ciò che comporterebbero se venissero introdotte.
Per capire bene le proposte e i cambiamenti conseguenti, è necessario prima essere consapevoli di come funziona oggi il versamento del TFR in un fondo pensione oppure l’accantonamento presso l’azienda o l’INPS.
Il TFR, infatti, sono soldi del dipendente che non vengono liquidati finché non si conclude il rapporto di lavoro.
Il dipendente può decidere chi deve custodire questi soldi fino al momento della liquidazione e può scegliere tra due opzioni. Entrambe presentano vantaggi e svantaggi, spesso da valutare in base alla situazione personale.
In generale, però, le regole e le possibilità previste nelle due diverse scelte, sono normate e valide per tutti i lavoratori.
Opzione 1: TFR lasciato in azienda
Gli importi di TFR maturando possono essere accantonati nei conti correnti aziendali, quindi possono effettivamente trovarsi presso il datore di lavoro.
Questo è possibile solo se l’azienda ha una caratteristica: ha avuto meno di 50 dipendenti nel primo anno di attività, se è stata fondata a partire dal 1 gennaio 2007, o aveva meno di 50 dipendenti nel 2006, se opera da prima del 2007.
Se, invece, nel 2006 o nel primo anno di attività aveva già più di 50 dipendenti, l’azienda deve versare gli importi di TFR dei dipendenti al Fondo di Tesoreria INPS.
Ecco i due luoghi in cui può essere “custodito” il TFR se si decide di lasciato in azienda.
Il datore di lavoro non deve solo accantonare gli importi di TFR, deve anche rivalutarli ogni anno dell’1,5% fisso + il 75% del tasso d’inflazione di quell’anno.
Quindi il TFR lasciato in azienda verrà rivalutato tutti gli anni almeno dell’1,5%.
È possibile richiedere al datore di lavoro fino al 70% di ciò che è stato accumulato fino a quel momento per spese sanitarie, prima casa, nascita di un figlio e formazione personale.
La regola prevede che per poter chiedere un’anticipazione all’azienda debbano essere passati almeno 8 anni dalla data di assunzione quindi, in caso di cambio azienda, si ricomincia a contare da zero.
Spesso le anticipazioni in azienda hanno una certa flessibilità. Se il datore di lavoro è d’accordo, infatti, è possibile avanzare una richiesta anche prima degli otto anni.
Al contempo, in azienda le anticipazioni non sono sempre garantite perché se, nel momento in cui si richiede l’anticipo, il datore ha già elargito molte anticipazioni in quell’anno, può anche dire di no e rimandare la richiesta all’anno successivo.
Quando si conclude il rapporto di lavoro, vengono liquidati in conto corrente i soldi del TFR, maturato meno la tassazione dovuta allo Stato.
La tassazione sul TFR lasciato in azienda prende a riferimento l’aliquota media IRPEF degli ultimi 5 anni prima della liquidazione, ovvero le ultime cinque retribuzioni lorde.
Con il sistema degli scaglioni IRPEF la tassazione minima è del 23% e si ottiene se si ha una RAL entro i 28k. L’aliquota media poi si alza, man mano che aumenta la RAL, fino allo scaglione massimo che è il 43%.
Lasciando il TFR in azienda si pagherà in base a quanto si guadagna e lo si otterrà ogni volta che si conclude il rapporto di lavoro, non necessariamente al pensionamento.
Opzione 2: TFR versato in un fondo pensione
Il fondo pensione è uno strumento finanziario intestato al dipendente, in cui l’azienda procede al versamento periodico, di solito trimestrale, degli importi di TFR maturando.
Su questi importi il datore di lavoro non è tenuto a dare una rivalutazione perché i fondi pensione mettono a disposizione diverse linee d’investimento che si possono modificare nel tempo.
In un fondo pensione le anticipazioni non sono flessibili ed è possibile richiederle in tre casi:
- fino al 75% per spese sanitarie (senza dover attendere nessuno scatto temporale)
- fino al 75% per la prima casa (con obbligo di attendere 8 anni dalla data di adesione al fondo prima di avanzare la richiesta)
- fino al 30% senza motivo, cioè senza specificare formalmente al fondo pensione perché servono quei soldi (sempre con l’obbligo di attendere il decorso degli 8 anni)
In questo caso, ai fini del calcolo degli 8 anni non fa fede la data di assunzione, ma la data di adesione al fondo, quindi, se si cambia azienda, non si riparte da zero.
Una volta arrivati in pensione, il TFR versato nel fondo verrà tassato con un’aliquota agevolata che va da un minimo del 9% a un massimo del 15% calcolata solo in base al tempo.
Se si apre il primo fondo pensione e si va in pensione nei 15 anni successivi la tassazione è la massima: il 15%.
Per ogni anno di permanenza in più oltre al 15esimo, questa tassazione diminuisce dello 0,3% all’anno, fino ad arrivare al 9% se si resta nella previdenza complementare per 35 anni o più.
Mentre la tassazione piena dal 23% al 43%, applicata al TFR lasciato in azienda, è dovuta in qualsiasi caso di conclusione del rapporto di lavoro, quella agevolata dal 15% al 9% nei fondi pensione si ottiene solo se si chiude il fondo dopo che si è arrivati in pensione.
In caso di cambio azienda, quindi, il TFR non viene liquidato, ma se si rimane senza lavoro è possibile riscattare il fondo prima di essere arrivati in pensione pagando una tassazione fissa del 23%.
Un grande vantaggio del TFR in fondo pensione è la possibilità di avere il contributo datoriale, cioè una percentuale della RAL che, sotto forma di extra, entra ogni anno nel fondo pensione oltre al TFR.
Questo è possibile se il dipendente è disposto a versare anch’esso una piccola percentuale della sua RAL in un fondo pensione che prevede l’accordo con l’azienda, di solito il fondo di categoria.
Noi di Ciao Elsa chiamiamo il contributo datoriale “soldi gratis” perché si tratta di qualche centinaio di euro in più che può entrare nel fondo pensione ogni anno.
Se non eri a conoscenza di questa opportunità o se vuoi verificare, dati alla mano, a quanto potrebbe ammontare il tuo contributo datoriale annuo, puoi consultare il nostro comparatore di fondi pensione.
Inserendo i dati richiesti, mediante un processo guidato step by step, potrai facilmente andare a vedere che percentuale di soldi gratis ti spetterebbe alle tue specifiche condizioni lavorative.
Inoltre, gli importi di questi due contributi, quello personale e quello datoriale, vengono dedotti dal dipendente, recuperando l’aliquota IRPEF massima che varia in base alla RAL di ciascuno.
Le percentuali dell’accordo sono stabilite dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro con cui si viene assunti e variano da un CCNL all’altro.
Al pensionamento si possono scegliere tre opzioni di ritiro del proprio fondo:
- 100% in rendita, ovvero una pensione integrativa; qui la rendita è una seconda pensione che entra nel c/c sotto forma di mensilità o annualità e si affianca alla pensione pubblica (la rendita può essere vitalizia, reversibile, certa a 5 o 10 anni, con controassicurazione o che raddoppia in caso di non autosufficienza)
- fino al 50% in capitale e il resto in rendita
- 100% in capitale, possibile se il fondo non supera un certo importo
Come si effettua la scelta
Sia che si scelga di destinare il proprio TFR a un fondo pensione, sia che lo si lasci in azienda, questa decisione deve essere comunicata al proprio datore di lavoro compilando il modulo TFR2 entro 6 mesi dall’assunzione.
Se si lascia il TFR in azienda si può modificare questa scelta in qualunque momento e optare per il versamento del TFR maturando in un fondo pensione.
Diversamente, se si sceglie il fondo pensione, la decisione è irreversibile.
Se, negli impieghi precedenti, si lasciava il TFR in azienda, il fatto di non presentare il modulo TFR2 nei tempi stabiliti in caso di nuova assunzione, porterebbe comunque il TFR a rimane automaticamente in azienda.
Al primo impiego, invece, il D.Lgs 252/2005 stabilisce che, se non si comunica ufficialmente la propria scelta, il TFR venga automaticamente versato nel fondo di categoria del proprio CCNL o, in caso l’azienda abbia più fondi in accordo, nel fondo con il maggior numero di adesioni o, in caso di azienda senza accordi, al fondo Cometa (il fondo di categoria del settore metalmeccanico).
Le due proposte avanzate dalla maggioranza di Governo, attualmente in fase di valutazione, cambierebbero sostanzialmente queste dinamiche di scelta.
Obbligo di versare un quarto del proprio TFR in un fondo pensione
Questa opzione prevedrebbe l’adesione automatica alla previdenza complementare con il 25% del proprio TFR per i lavoratori di prima assunzione.
Essendo questa scelta irreversibile, al dipendente resterebbe solo la libertà di aumentare, in futuro, la quota di TFR da destinare al fondo pensione, ma non la possibilità di lasciarlo interamente in azienda.
Introduzione di un semestre di silenzio/assenso
Durante questa finestra temporale, si richiederebbe a tutti i lavoratori di indicare ancora esplicitamente la propria volontà di versare o meno il proprio TFR in fondo pensione.
In caso di silenzio, scatterebbe in automatico il versamento del TFR maturando a una forma di previdenza complementare. Ovvero, come detto prima, nel fondo di categoria del proprio CCNL oppure, se l’azienda ha più fondi in accordo, nel fondo con il maggior numero di adesioni o ancora, se l’azienda non ha accordi, al fondo Cometa (il fondo di categoria del settore metalmeccanico).
La scelta, o per meglio dire in questo caso, la non scelta, di fatto comporta una situazione irreversibile, che il lavoratore non potrà modificare in futuro.
Conclusioni e spunti di riflessione
Entrambe le proposte, se realizzate, comporterebbero un forte aumento degli iscritti al secondo pilastro della previdenza complementare.
Se, da un lato, questo effetto è auspicabile, vista la sempre maggiore necessità di risparmiare per integrare la propria pensione, d’altro canto si pone una questione sostanziale di metodo.
Uno dei motivi principali per cui, ancora oggi, due terzi degli aventi diritto in Italia non ha aperto una propria posizione di previdenza complementare è, senza dubbio, la scarsa informazione che, in alcuni casi, è addirittura una disinformazione.
Introdurre un obbligo di versamento di un quarto del proprio TFR in un fondo pensione, rischia di aumentare la diffidenza nei confronti di questi strumenti finanziari che potrebbero essere visti come un'imposizione, non compresi e osteggiati apertamente.
Allo stesso tempo, introdurre un semestre di silenzio assenso, senza un’adeguata campagna informativa di qualità, rischia di mettere i dipendenti di fronte al fatto compiuto, eliminando la possibilità di esercitare una scelta consapevole e ragionata sulla propria situazione specifica.
Il rischio, dunque, è quello di ottenere un effetto boomerang e alimentare un sentimento oppositivo nei confronti della previdenza complementare che resta, invece, una necessità e un'opportunità strategica nella maggior parte dei casi.
È fondamentale, però, che questa scelta si basi sulla consapevolezza del futuro pensionistico e sulla conoscenza corretta delle regole, dei vantaggi e degli obblighi che i fondi pensione prevedono.
Come diciamo sempre noi di Ciao Elsa, i fondi pensione sono strumenti finanziari d’investimento che vanno compresi e utilizzati nel miglior modo possibile, a partire dalla situazione specifica di ogni lavoratore. Non devono diventare un’imposizione fondata su scarsa conoscenza.
In poche parole, i lavoratori devono poter esercitare una scelta libera e autonoma, non subirla.
Se queste proposte diventeranno effettive, crediamo sia auspicabile un’esaustiva e corretta informazione, che sottolinei come i fondi pensione siano strumenti disciplinati dalla legge, controllati dalla Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (COVIP) e tenuti al rispetto delle regole stabilite dal D.Lgs 252/2005.
Ciao Elsa è nata proprio per rendere facili e comprensibili tutte le cose noiose che ruotano attorno al TFR e alla previdenza complementare.
Siamo convinti che i fondi pensione rappresentino, nella maggior parte dei casi, per il lavoratore, un’ottima chance per costruire una previdenza integrativa futura sempre più necessaria.
Quindi, in generale, non siamo contrari ai cambiamenti che incentivano i lavoratori a occuparsi di questo aspetto fondamentale della loro vita e a sfruttare le possibilità che lo Stato ci mette a disposizione.
La nostra missione, però, è quella di informare al meglio quante più persone possibile sui pro e i contro della previdenza complementare, per dare a tutti gli strumenti necessari che consentono di prendere delle decisioni adeguate, nella convinzione che solo una scelta informata e consapevole è una scelta libera che darà i suoi frutti in futuro.