
Può sembrare un’eventualità lontana, ma nella realtà accade più spesso di quanto si pensi: per difficoltà economiche o per altre ragioni slegate dall’andamento dell’attività, il datore di lavoro può non accantonare correttamente il TFR al dipendente o versarlo con costanza al fondo pensione da lui indicato.
In questi casi, cosa succede e che azioni può intraprendere il lavoratore a tutela dei suoi diritti?
TFR: natura, gestione e liquidazione
Il trattamento di fine rapporto, comunemente conosciuto come TFR o liquidazione, rappresenta in Italia una parte della retribuzione del lavoratore subordinato, pari al 6,91% della retribuzione annua del lavoratore, che viene accantonata durante gli anni di servizio e corrisposta al momento in cui il rapporto di lavoro termina.
Il TFR affonda le sue origini nella Carta del Lavoro del 1927, che riconosceva al lavoratore un’indennità proporzionata agli anni di servizio.
La disciplina moderna nasce con la Legge 297/1982, che sostituisce la vecchia indennità di anzianità con l’attuale Trattamento di Fine Rapporto.
Nel 2005, con il Decreto Legislativo 252 è stata emanata la nuova riforma della previdenza complementare, che ha disciplinato la destinazione del TFR maturando ai fondi pensione, sia attraverso una scelta esplicita del lavoratore, sia tramite il meccanismo del silenzio-assenso.
Sempre per effetto dell’entrata in vigore del decreto, per chi decide di non destinare il TFR alla previdenza complementare, dal 2007 il trattamento di fine rapporto segue percorsi diversi a seconda delle dimensioni dell'impresa:
- Aziende con meno di 50 dipendenti: Il TFR maturando è materialmente depositato in azienda;
- Aziende con più di 50 dipendenti: il TFR maturando viene versato al Fondo di Tesoreria gestito dall'INPS.
Per la precisione, se l’azienda è stata fondata dopo il 2006, fa fede la quantità di dipendenti nel primo anno di attività. Se, invece, l’azienda opera da prima del 2007, fa fede la quantità di dipendenti nell’anno 2006.
Fatta questa breve parentesi, possiamo ora distinguere le diverse tutele previste in caso di mancato pagamento del TFR, a seconda della sua destinazione:
- TFR destinato al fondo pensione scelto dal dipendente
- TFR mantenuto in azienda
- TFR versato al Fondo di Tesoreria INPS
L’azienda non versa il TFR al fondo pensione
La previdenza complementare è uno strumento sempre più importante per garantire un futuro pensionistico adeguato, specie in un contesto in cui la pensione pubblica rischia di non essere sufficiente a mantenere il tenore di vita raggiunto in età lavorativa.
In Italia, oltre 10 milioni di lavoratori hanno scelto di aderire a un fondo pensione, conferendo il proprio TFR e beneficiando dei vantaggi correlati come il contributo aggiuntivo a carico del datore di lavoro e il regime fiscale più favorevole.
Ma cosa succede se il datore di lavoro non adempie ai suoi obblighi e non versa al fondo pensione le somme dovute?
Le conseguenze possono essere importanti, non solo per il lavoratore, che vede messa in discussione la crescita della propria posizione previdenziale, ma anche per l’impresa stessa, che si espone a rischi legali, finanziari e reputazionali.
Cos’è l’omissione contributiva alla previdenza complementare
L’omissione contributiva si verifica quando il datore di lavoro non versa al fondo pensione prescelto dal dipendente gli importi dovuti. Si tratta di somme che comprendono:
- la quota di TFR maturando destinata al fondo;
- i contributi a carico del lavoratore (opzionale) che l’azienda trattiene in busta paga;
- i contributi aggiuntivi a carico del datore di lavoro previsti dal contratto collettivo per i fondi pensione negoziali di riferimento, oppure stabiliti da eventuali accordi aziendali che ne riconoscano l’erogazione anche a favore di fondi diversi da quelli negoziali. Il contributo aggiuntivo del datore è dovuto, in questi fondi, solo se il dipendente versa il contributo a suo carico (punto 2)
L’omissione contributiva è dunque un vero e proprio inadempimento contrattuale, che mina le basi stesse del progetto previdenziale del lavoratore, in quanto in assenza di versamenti:
- l’iscritto non vede aumentare la propria la posizione individuale;
- non si realizzano i rendimenti che quelle somme avrebbero potuto produrre negli anni;
- la pensione integrativa futura risulta ridotta;
- eventuali richieste di anticipazione o riscatto saranno calcolate su importi più bassi.
Cosa fare se l’azienda non versa il TFR al fondo pensione?
Nel caso in cui il datore di lavoro risulti inadempiente nei versamenti del TFR al fondo pensione è innanzitutto necessario suddividere i casi possibili:
- l’azienda è ancora attiva. Il primo passo consiste nel monitorare regolarmente la propria posizione all’interno del fondo pensione, esaminando la propria area riservata o il prospetto annuale che ogni aderente riceve. Inoltre, molti fondi pensione hanno previsto sistemi di monitoraggio che li portano a inviare comunicazioni dedicate ai lavoratori nel caso in cui si verifichino periodi prolungati di mancati versamenti da parte dei datori di lavoro.
Se emergono delle discrepanze, è importante innanzitutto chiedere spiegazioni al datore di lavoro. Qualora il problema non si risolva, si può valutare di rivolgersi a un avvocato specializzato in diritto del lavoro o al centro vertenze del sindacato di fiducia per tutelare i propri diritti attraverso un’azione legale. È utile ricordare che il fondo pensione non può intervenire direttamente per conto del lavoratore: spetta sempre a quest’ultimo avviare eventuali procedure per ottenere i contributi dovuti.
Si ricorda inoltre che il datore di lavoro è tenuto a saldare, oltre ai contributi omessi maggiorati degli interessi cosiddetti di “mora” (definiti dai regolamenti previsti dai singoli fondi pensione), anche i mancati rendimenti generati dall'omissione contributiva. - l’azienda è sottoposta a una procedura concorsuale come:
- liquidazione giudiziale/fallimento;
- concordato preventivo;
- liquidazione coatta amministrativa;
- amministrazione straordinaria;
- concordato semplificato.
In questi casi il lavoratore, per poter recuperare quanto gli spetta, deve insinuarsi al passivo. Si tratta della procedura con la quale i creditori dell’impresa fallita chiedono di essere inseriti nell’elenco dei soggetti aventi diritto al pagamento.
Il curatore fallimentare procede a inventariare i beni dell’azienda e, tramite la loro vendita, cerca di ottenere liquidità per soddisfare i creditori. Tuttavia, l’insinuazione al passivo non garantisce il recupero integrale del credito, perché dipende dalle risorse effettivamente disponibili.
Se la procedura concorsuale non consente di recuperare le somme, il lavoratore può ricorrere a una forma di tutela ulteriore: il Fondo di garanzia INPS della posizione previdenziale complementare, che descriveremo nel prossimo paragrafo.
Il Fondo di garanzia INPS della posizione previdenziale complementare: che cos’è e come funziona
Il Fondo di garanzia per la posizione previdenziale complementare, istituito presso l’INPS dal decreto legislativo n. 80 del 27 gennaio 1992, è destinato a tutti i lavoratori dipendenti iscritti alla previdenza complementare, che si trovino in una delle situazioni sopra indicate.
Il Fondo garantisce:
- la quota di TFR conferita al fondo e non trasferita;
- i contributi del lavoratore trattenuti ma non versati;
- i contributi del datore di lavoro.
Sono invece esclusi gli interessi di mora e ogni altro onere accessorio.
È tuttavia previsto il riconoscimento di una “rivalutazione” sui contributi omessi, utilizzando per ciascun anno l’indice di rivalutazione del TFR previsto per il TFR lasciato in azienda (percentuale fissa del 1,5% + 75% dell’inflazione nell’anno), così da limitare l’impatto economico dell’omissione.
I versamenti effettuati dal Fondo non vengono corrisposti direttamente al lavoratore, ma sono accreditati alla sua posizione individuale presso il fondo pensione, così da ripristinare la contribuzione mancante.
Il datore di lavoro non paga il TFR lasciato in azienda
Se si lascia il TFR in azienda, a differenza di quanto avviene nel caso di destinazione del TFR a un fondo pensione, il lavoratore non dispone di strumenti immediati e automatici, come un’area riservata online, per monitorare in tempo reale l’importo maturato del TFR lasciato in azienda.
Per questa ragione l’unico riferimento certo resta la comunicazione annuale del datore di lavoro.
In qualità di sostituto d’imposta, infatti, il datore di lavoro ha l’obbligo di riportare nella Certificazione Unica non solo l’ammontare del TFR maturato e rimasto in azienda o eventualmente destinato a un fondo pensione, ma anche: acconti, anticipazioni e indennità corrisposte, ritenute e detrazioni applicate, insieme ad altri dati utili relativi al trattamento fiscale della liquidazione.
Chi desidera conoscere con precisione la quota di TFR accantonata può farlo consultando la Certificazione Unica, nei campi compresi tra l’801 e l’813.
Quando il TFR rimane in azienda, esso rappresenta a tutti gli effetti un debito che l’impresa ha nei confronti del lavoratore e, come tale, deve essere iscritto al passivo dello stato patrimoniale.
Questo però non significa che vi sia un accantonamento fisico delle somme: talvolta, il TFR viene utilizzato dall’impresa per esigenze di gestione della liquidità o per investimenti, ad esempio nell’acquisto di macchinari o nello sviluppo dell’attività.
Cosa succede se l’azienda non versa il TFR alla cessazione del rapporto di lavoro?
Può quindi capitare che, sebbene il debito nei confronti del lavoratore sia contabilizzato, alla cessazione del rapporto di lavoro non vi siano nell’immediato le risorse necessarie per la liquidazione del TFR del dipendente. In questo caso, cosa accade?
Analogamente a quanto descritto per i mancati versamenti ai fondi pensione, se l’azienda risulta inadempiente nei confronti del dipendente sulla liquidazione del TFR, è necessario distinguere due casi:
- l’azienda è ancora attiva. Il lavoratore è costretto a rivolgersi a un legale specializzato in diritto del lavoro o al sindacato di fiducia per tutelare i propri diritti attraverso un’azione legale.
- l’azienda è sottoposta a una procedura concorsuale quale
- liquidazione giudiziale/fallimento;
- concordato preventivo;
- liquidazione coatta amministrativa;
- amministrazione straordinaria;
- concordato semplificato.
In questi casi il lavoratore, se l’insinuazione al passivo non garantisce il recupero integrale del credito, può ricorrere al Fondo di garanzia INPS del TFR e dei crediti di lavoro, che vediamo qui di seguito.
Il Fondo di garanzia INPS del TFR e dei crediti di lavoro: come funziona
Il Fondo di garanzia per il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è stato istituito dall'articolo 2, legge 29 maggio 1982, n. 297, per garantire ai lavoratori subordinati il pagamento
- del TFR in sostituzione del datore di lavoro insolvente;
- delle eventuali retribuzioni maturate negli ultimi tre mesi del rapporto e non corrisposte.
Sul TFR erogato dal Fondo di Garanzia sono riconosciuti gli interessi e la rivalutazione monetaria dalla data di cessazione del rapporto di lavoro fino alla data di effettiva liquidazione; sui crediti di lavoro gli interessi e la rivalutazione decorrono, per legge, dalla data della domanda sino a quella di effettivo adempimento.
Se interviene il Fondo di Garanzia, le somme erogate non sono ovviamente esenti da imposizione fiscale.
L’INPS, in qualità di sostituto d’imposta, applica direttamente le ritenute, ma queste hanno natura provvisoria. La tassazione definitiva, infatti, viene determinata successivamente dall’Agenzia delle Entrate, che ricalcola l’imposta sulla base dell’aliquota media applicata al lavoratore nei cinque anni precedenti alla maturazione del diritto al TFR.
Le prestazioni riconosciute dal Fondo di Garanzia vengono poi accreditate in via diretta sul conto corrente del beneficiario, che deve essere intestato o cointestato allo stesso, a garanzia di trasparenza e tracciabilità dei pagamenti.
Il datore di lavoro non paga il TFR al Fondo di Tesoreria INPS
Abbiamo anticipato che, dal 1° gennaio 2007, per i lavoratori delle aziende con almeno 50 dipendenti, il TFR maturato non resta più in azienda ma viene versato al Fondo di Tesoreria INPS.
Una recente sentenza della corte di Cassazione (n. 25035 depositata il 22 agosto 2023) ha confermato come il Fondo di Tesoreria sia sempre tenuto a pagare le quote di TFR maturate dopo quella data, anche se il datore di lavoro non ha effettuato correttamente i versamenti.
Il lavoratore, quindi, non deve rivalersi sull’azienda per il TFR maturato dopo il 1° gennaio 2007, eventualmente solo per quanto maturato prima di tale data: l’unico soggetto obbligato al pagamento è il Fondo di Tesoreria.
Sarà l’INPS, eventualmente, ad attivarsi per recuperare dal datore di lavoro insolvente i contributi non versati.
Il Fondo di Tesoreria, come già normalmente accade, agisce come sostituto d’imposta, trattenendo direttamente una quota fiscale al momento dell’erogazione. Si tratta però di una trattenuta provvisoria, perché il calcolo definitivo spetta all’Agenzia delle Entrate.
Conclusioni
Abbiamo visto che il legislatore ha predisposto strumenti di tutela, come il Fondo di Garanzia INPS, che rappresenta una salvaguardia fondamentale nei casi in cui il datore di lavoro sia inadempiente nel versamento del TFR.
Tuttavia, riteniamo che la prima difesa resta la consapevolezza del lavoratore: controllare periodicamente gli importi maturati, richiedere chiarimenti in caso di anomalie e, se necessario, attivarsi legalmente per recuperare quanto dovuto.
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Dall’altro lato, le imprese dovrebbero sempre più considerare il TFR per ciò che realmente rappresenta: un credito dei lavoratori e, quindi, un debito che l’azienda ha nei loro confronti. Impegno che, se destinato ai fondi pensione, consente al datore di lavoro di ottenere peraltro importanti agevolazioni fiscali (perché alle aziende conviene versare il TFR nei fondi pensione).
Venire meno a questo impegno non mette a rischio soltanto la serenità e il futuro economico dei dipendenti, ma può compromettere anche la stabilità legale e l’immagine stessa dell’impresa.
Riconoscere e rispettare questa responsabilità significa onorare un patto di fiducia che va oltre la semplice retribuzione. È un impegno di lungo periodo, che tutela il presente del lavoratore e contribuisce alla sua sicurezza economica per il domani.
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