
In questo articolo vi confermiamo quanto abbiamo sempre sostenuto quando ci è stata rivolta la domanda: è possibile farsi accreditare mensilmente il TFR in busta paga?
Abbiamo sempre risposto che questa è una prassi non più consentita anche se abbiamo riscontrato che spesso viene ancora utilizzata.
In questi giorni l’Ispettorato Nazionale del Lavoro si è espresso in merito alla questione in modo inequivocabile.
Cos’è il TFR e perché esiste in Italia
Partiamo dall’inizio e da una premessa doverosa, che lo stesso INL riporta nel suo documento ufficiale che ha per oggetto: “anticipazione indebita quote TFR – chiarimenti.”
<<Il trattamento di fine rapporto (TFR) rappresenta una somma di denaro che viene accumulata mensilmente dal datore di lavoro, per conto del dipendente, allo scopo di In pratica, il datore di lavoro può liquidare il TFR al dipendente tutti i mesi, anziché accantonarlo e darglielo alla conclusione del rapporto di lavoro? al termine del rapporto di lavoro.>>
L’istituto del TFR, quindi, ha uno scopo preciso ed è per questo motivo che viene accantonato e dato al lavoratore solo quando si conclude il rapporto di lavoro con l’azienda per pensionamento, dimissioni o licenziamento. Il dipendente, nel frattempo, ha la facoltà di decidere dove deve essere accantonato il suo TFR.
Due opzioni: TFR in azienda o in un fondo pensione
Concretamente il TFR, acronimo di Trattamento di Fine Rapporto, è una percentuale fissa della RAL di un dipendente, per la precisione il 6,91%, che corrisponde a circa una mensilità lorda in più all’anno che il datore deve accantonare mensilmente per il proprio dipendente e restituire in forma di liquidazione alla conclusione del rapporto di lavoro.
Nel frattempo, oltre ad accantonare questi importi, il datore di lavoro è tenuto a rivalutarli ogni anno dell’1,5% fisso + il 75% del tasso di inflazione annuo.
In alternativa, il dipendente può scegliere di far versare il proprio TFR in un fondo pensione, ottenendo importanti vantaggi fiscali, grazie alla tassazione agevolata prevista nella previdenza complementare dal d.Lgs 252/2005 che ne detta le regole.
Il TFR lasciato in azienda, infatti, al momento della liquidazione viene tassato dal 23% al 43% e più alta è la retribuzione del dipendente, più alto è l’importo da lasciare allo Stato.
Nei fondi pensione, invece, la tassazione va da un massimo del 15% a un minimo del 9% ed è calcolata esclusivamente in base al tempo di permanenza. Il criterio è: più giovani si è nel momento in cui si aderisce alla previdenza complementare, più bassa sarà la tassazione finale al pensionamento.
Oltre al vantaggio fiscale, il versamento del TFR in un fondo pensione può comportare un versamento aggiuntivo da parte dell’azienda chiamato contributo datoriale, una sorta di “extra” che entra tutti gli anni nel fondo del dipendente se il lavoratore ha scelto un fondo di categoria o un fondo in accordo con la propria azienda.
Le anticipazioni del TFR
Questo istituto prevede la possibilità, per il dipendente, di richiedere al proprio datore di lavoro delle “anticipazioni” sul proprio TFR maturato.
In pratica, se il rapporto lavorativo non è concluso ma il lavoratore ha delle necessità economiche cui non riesce a far fronte con i propri risparmi, può attingere al suo TFR maturato chiedendone una parte al datore di lavoro.
In azienda, è possibile chiedere una sola anticipazione nel corso del rapporto di lavoro, fino al 70% del proprio TFR maturato per le seguenti motivazioni:
- Spese sanitarie;
- Prima casa;
- Nascita di un figlio;
- Formazione personale.
Le anticipazioni si possono richiedere dopo 8 anni dalla data di assunzione, quindi se si cambia datore di lavoro il conto degli anni riparte da zero.
È comunque possibile negoziare con il datore di lavoro, in forma collettiva o in forma individuale, delle anticipazioni a condizioni più favorevoli.
La richiesta di anticipazione deve essere supportata da documentazione che attesta la necessità della stessa, quindi ad esempio: certificazioni sanitarie rilasciate dall’ASL competente, oppure copia degli atti di compravendita della prima casa.
Anche nei fondi pensione è prevista la possibilità di ricevere anticipazioni, in alcuni casi con tassazione agevolata e con percentuali maggiori rispetto a quelle previste per le anticipazioni del TFR lasciato in azienda.
Esenzione contributiva e fiscalità delle anticipazioni
Le anticipazioni di TFR erogate dall’azienda non sono considerate come retribuzione su cui si è tenuti al versamento dei contributi previdenziali e non vengono tassate come una retribuzione ordinaria, quindi sulla base dello scaglione o degli scaglioni IRPEF corrispondenti.
Sono invece soggette a tassazione separata per quanto riguarda gli importi accantonati dal datore di lavoro, mentre la parte di rivalutazione non è soggetta a imposte.
Inoltre, l’azienda non è tenuta al versamento dei contributi previdenziali, non essendo queste somme considerate come retribuzione.
Se, però, l’erogazione del TFR non è a tutti gli effetti un’anticipazione che gode dell’esenzione contributiva appena citata, allora quegli importi vengono considerati come un aumento della retribuzione, quindi assoggettata all’obbligo contributivo.
Citiamo l’INL:
<<L’istituto è disciplinato dall’art. 2120 c.c. il quale, nei primi cinque commi individua i criteri di calcolo del TFR e nei commi successivi disciplina le condizioni in presenza delle quali, su richiesta del lavoratore, si applica il diverso istituto della anticipazione del trattamento di fine rapporto. (Questo articolo del Codice Civile e i relativi commi stabiliscono le regole che abbiamo visto nel paragrafo precedente, n.d.r.) L’ultimo comma dello stesso articolo rimanda alla contrattazione collettiva o ai patti individuali l’introduzione di condizioni di miglior favore relative all’accoglimento delle richieste di anticipazione, in mancanza delle quali l’erogazione monetaria non può che qualificarsi quale maggiore retribuzione assoggettata all’obbligazione contributiva, come chiarito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 4670 del 22 febbraio 2021.>>
La Corte di Cassazione, il 22 febbraio 2021 aveva sancito definitivamente che solo la sussistenza degli elementi costitutivi dell’art. 2120 c.c. consente di qualificare l’erogazione datoriale come anticipazione del TFR. In caso mancassero questi elementi, l’erogazione monetaria al lavoratore andrebbe considerata come retribuzione ulteriore.
Quindi, in ogni caso di anticipazione del trattamento di fine rapporto, è opportuno che il lavoratore presenti una richiesta scritta, con data certa e documentazione che certifica la motivazione.
La finestra del regime sperimentale (marzo 2015-giugno 2018)
Dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018 è stato possibile liquidare mensilmente il TFR dei dipendenti in busta paga.
Dal 1° luglio 2018, però, questa possibilità è decaduta anche se molte aziende hanno continuato a praticare questa modalità per non dover gestire l’accantonamento nel corso del tempo e non doverlo rivalutare dell’1,5% + il 75% del tasso di inflazione annua, ogni anno.
Questa rivalutazione è stabilita dalla legge e si applica all’intero montante, quindi si tratta di un costo “composto” per il datore di lavoro.
Oggi
Dai controlli effettuati si è riscontrato un persistere di questa pratica che non è più prevista legalmente.
Ecco come si è espresso INL nella sua comunicazione:
<<In virtù della collocazione sistematica del rimando operato dal decimo comma dell’art. 2120 c.c., che si pone al termine della disciplina delle anticipazioni del TFR, è tuttavia da ritenere che la pattuizione collettiva o individuale possa avere ad oggetto una anticipazione dell’accantonamento maturato al momento della pattuizione e non un mero automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile che, a questo punto, costituirebbe una mera integrazione retributiva con conseguenti ricadute anche sul piano contributivo. Tale operazione, peraltro, sembrerebbe contrastare con la stessa ratio dell’istituto che, come detto, è quella di assicurare al lavoratore un supporto economico al termine del rapporto di lavoro.>>
Versare il TFR nella busta paga del dipendente ogni mese non è considerabile come “anticipazione” e, pertanto, il datore di lavoro, così facendo, versa di fatto una retribuzione aggiuntiva sulla quale sarebbe tenuto a versare i contributi previdenziali.
INL, inoltre, sottolinea come questa pratica sia antitetica alla natura stessa del TFR e allo scopo per cui esiste questo istituto in Italia.
Come correggere la prassi scorretta
INL risponde quanto segue per regolarizzare le posizioni di TFR gestite in modo non conforme alla legge:
<<Pertanto, venendo al secondo quesito concernente le conseguenze sul piano ispettivo, si ritiene che, laddove si ravvisino le descritte ipotesi di anticipazione, il personale ispettivo dovrà intimare al datore di lavoro di accantonare le quote di TFR illegittimamente anticipate attraverso l’adozione del provvedimento di disposizione di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 124 del 2004.>>
Nell’articolo 14 del d.Lgs 124/2004 si dispone che il personale ispettivo intimi al datore di mettere da parte nuovamente il TFR, mentre tutti gli importi di TFR precedentemente liquidati dovranno essere considerati come retribuzione a tutti gli effetti, con conseguente versamento dei contributi previdenziali.
Speriamo di aver contribuito alla diffusione di questo chiarimento che non lascia più alcuno spazio a libera interpretazione e a pratiche contrarie alla legge ormai da quasi 8 anni.