Lavorare da pensionati: un fenomeno in crescita

Negli ultimi anni, il fenomeno dei pensionati che continuano a lavorare dopo aver raggiunto l’età del pensionamento ha suscitato crescente interesse tra economisti, sociologi e policy maker. 

Si tratta di un fenomeno complesso, influenzato non solo da fattori finanziari, ma anche da esigenze di benessere psicologico, desiderio di produttività e mantenimento delle relazioni sociali. 

Secondo i dati diffusi da Eurostat, nel 2023 il 13% circa dei pensionati nell’Unione Europea ha continuato a lavorare nei sei mesi successivi al percepimento della pensione, un dato che in termini assoluti significa che un lavoratore su otto resta attivo professionalmente nonostante l’accesso alla pensione.

Le ragioni alla base di questa scelta sono molteplici:

  • una quota significativa di pensionati, quasi il 36%, dichiara di lavorare per sentirsi produttivi e mantenere un ruolo attivo nella società;
  • un 28,6% lo fa per necessità economiche;
  • il 11,2% afferma di voler in tal modo mantenere un’interazione sociale; 
  • il 9,1% rimane attivo per l’attrattiva offerta dal lavoro stesso. 

Un quadro, quindi, che sembra suggerire come il lavoro post-pensionamento non sia esclusivamente una scelta finanziaria, ma spesso una combinazione di esigenze economiche, psicologiche e sociali.

Differenze tra gli stati europei

Entrando nel dettaglio dei vari paesi europei, le differenze sono evidenti e dipendono da più variabili, come fattori strutturali, la normativa pensionistica e il contesto socio-economico.

I Paesi baltici, ad esempio, registrano le percentuali più elevate di pensionati che continuano a lavorare: in Estonia si arriva addirittura al 54%, seguita da Lettonia (44,2%) e Lituania (43,7%). Al contrario, Romania (1,7%), Grecia (4,2%) e Spagna (4,9%) mostrano valori decisamente più bassi

Come anticipato, questa differenza non si spiega soltanto con il divario tra Paesi che dispongono di sistemi pensionistici pubblici più generosi e un costo della vita relativamente moderato, e realtà che non godono di tali vantaggi. 

Entrano in gioco anche fattori come la cultura del lavoro, l’atteggiamento sociale verso l’invecchiamento attivo e le effettive opportunità occupazionali offerte agli over 60.

Paesi, infatti, come Danimarca e Paesi Bassi evidenziano una quota elevata di pensionati che lavorano “per piacere” piuttosto che per necessità economiche, riflettendo il valore attribuito al lavoro nella società. 

Al contrario, in Romania, Cipro e Bulgaria la motivazione economica resta prevalente, a conferma del ruolo centrale della stabilità finanziaria nella scelta di continuare a lavorare.

infografica pensionati che continuano a lavorare dopo la pensione in Europa

Il contesto italiano

In Italia, il fenomeno è altrettanto significativo. 

Secondo i dati Eurostat, oltre mezzo milione di italiani ha avuto un’esperienza di lavoro dopo il pensionamento, con una concentrazione maggiore tra i 60 e i 69 anni. Tra questi soggetti:

  • 140.000 circa hanno tra i 60 e i 64 anni
  • 165.000 circa sono tra i 65 e i 69 anni
  • 115.000 circa hanno tra i 70 e i 74 anni. 

Analizzando le motivazioni che spingono a tornare al lavoro, poco meno di un terzo degli intervistati indica la necessità economica come principale ragione, mentre oltre la metà lo fa per il piacere di lavorare e sentirsi produttivi, talvolta anche perché il partner o coniuge è ancora occupato.

perché conviene continuare a lavorare da pensionati in Italia

Tuttavia, questi dati sono probabilmente sottostimati: molti pensionati svolgono attività lavorative informali, freelance o di volontariato, che sfuggono alle statistiche ufficiali che, nel complesso, vedono il 71,8% dei pensionati smettere di lavorare al momento del pensionamento, mentre un ulteriore 17,4% già non era occupato in precedenza.

Dal punto di vista settoriale, la continuità lavorativa post-pensionamento più diffusa è quella tra manager, artigiani, commercianti e agricoltori. 

Tra i lavoratori autonomi, oltre il 56% continua a lavorare dopo la pensione, spesso non necessariamente per questioni economiche, ma per il forte legame con la propria attività, considerata una vera e propria “creatura” personale. 

Chi sono i pensionati in Italia

Gli interventi legislativi in materia previdenziale degli ultimi anni hanno spostato sensibilmente in avanti l’età media di uscita dal lavoro. Se nel 2009 quasi nove persone su dieci lasciavano l’attività lavorativa prima dei 60 anni, oggi questa percentuale si è ridotta a poco più di una su dieci, con un calo particolarmente accentuato tra gli uomini.

Ciò nonostante, l’età media di pensionamento in Italia si attesta a 61,4 anni, simile alla media europea (61,3 anni), ma con una differenza significativa tra:

  • uomini: 60,9 anni 
  • donne: 61,9 anni

Questo scarto risulta particolarmente interessante se confrontato con la media europea, dove le donne tendono a ritirarsi dal lavoro prima degli uomini, con un’età media di 60,9 anni contro i 61,3 degli uomini.

Una dinamica del nostro Paese influenzata da diversi elementi, come percorsi professionali spesso discontinui o interrotti e un quadro normativo in materia pensionistica soggetto a frequenti cambiamenti. 

Basti pensare che tra i 65‑74enni, solo il 68,3% delle donne percepisce un trattamento pensionistico, contro l’87,7% degli uomini.

Abbiamo approfondito proprio questo tema in un recente articolo dal titolo: Donne e pensioni in Italia: ci sono disuguaglianze di genere?

Lavorare da pensionati: quanto conviene? Ci sono degli incentivi?

Già nel 2004, sotto la guida dell’allora Ministro del Lavoro, Roberto Maroni, venne sperimentato un “bonus” economico per chi, pur avendo maturato i requisiti per la pensione in forma anticipata, sceglieva di proseguire l’attività lavorativa. 

Una misura riproposta a partire dal 2022 e negli anni seguenti, con l’obiettivo di offrire ai lavoratori dipendenti un’ulteriore alternativa.

Nel 2025, il "Bonus Maroni", detto anche “Bonus Giorgetti” è un'agevolazione per i lavoratori del settore privato che, pur avendo maturato i requisiti per la pensione anticipata o per le finestre d’uscita a “quote”, decidono di rimanere al lavoro

Questa misura permette al lavoratore di ricevere in busta paga i contributi previdenziali che avrebbe dovuto versare all'INPS, con un conseguente aumento dello stipendio netto. Nello specifico, si tratta di un incremento di circa il 9,19% della retribuzione lorda

Sfide e prospettive future

In un’Italia segnata da una natalità in costante calo e da un’aspettativa di vita in costante crescita, il fenomeno dei pensionati che restano attivi sul mercato del lavoro potrebbe essere  destinato a crescere

Da un lato, la diminuzione della popolazione in età lavorativa ridurrà il numero di contribuenti attivi: secondo il rapporto Ocse, tra 35 anni in Italia ci saranno 12 milioni di persone in età lavorativa in meno, un calo totale del 34% (contro l’8% stimato a livello europeo).

Se la produttività non crescerà in misura sufficiente a compensare questa carenza, il contributo degli “over 60” potrà diventare una risorsa preziosa per sostenere l’economia nazionale

Ciò, però, potrà avvenire solo a condizione che all’allungamento della vita si accompagni a un prolungamento della vita in buona salute, incentivato da campagne di invecchiamento attivo; in caso contrario, l’aumento dei costi sanitari e assistenziali rischierebbe di gravare su un sistema già sotto pressione.

Dall’altro lato, vivere più a lungo comporta, intuitivamente, ricevere la pensione per più anni.

Con l'attuale sistema contributivo, questo si traduce inevitabilmente in assegni mensili più bassi, ulteriormente ridotti da eventuali carriere discontinue o buchi contributivi. Di conseguenza, per molti potrà diventare necessario affiancare alla pensione un reddito integrativo

In questo contesto, la previdenza complementare emerge come uno strumento di rilievo per affrontare le attuali sfide demografiche, consentendo di accumulare nel tempo risorse con le quali integrare la pensione pubblica o ridurre la necessità di continuare a lavorare oltre l’età pensionabile, scegliendo liberamente se proseguire l’attività lavorativa per motivi di piacere e realizzazione personale, anziché per vincoli economici.

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