Addio a Opzione Donna? Cosa (non) dice la nuova legge di bilancio 2026

Il sistema pensionistico italiano è da sempre al centro di dibattiti, riforme e aggiustamenti continui. L’equilibrio tra sostenibilità economica e tutela dei diritti dei lavoratori è complesso, e ancor di più quando si parla della situazione pensionistica delle donne

In questo scenario, per alcuni decenni, la misura chiamata “Opzione Donna” è stata introdotta per offrire alle lavoratrici una possibilità di pensionamento anticipato, pur a fronte di condizioni non sempre vantaggiose dal punto di vista economico.

La bozza della nuova legge di bilancio, tuttavia, sembra delineare un finale differente per questo strumento. 

In questo articolo ripercorriamo la sua evoluzione, analizziamo i requisiti previsti al 31 dicembre 2025 e proviamo a capire quali scenari futuri si prospettano per questa misura.

Perché nasce Opzione Donna

Opzione Donna è stata introdotta nel 2004 come una risposta concreta alle difficoltà che, ancora oggi, caratterizzano la vita lavorativa delle italiane. 

Il XXIV Rapporto Annuale dell'INPS conferma, infatti, come le donne statisticamente entrano nel mercato del lavoro più tardi rispetto agli uomini, hanno carriere più discontinue e spesso si trovano costrette a ricorrere al part-time per conciliare l’attività professionale con i compiti di cura familiare. 

La maternità, che dovrebbe rappresentare un arricchimento per la società, finisce troppo spesso per diventare un ostacolo, segnando interruzioni nei percorsi professionali, perdita di opportunità e riduzioni salariali. 

È in questo contesto che nasce l’Opzione Donna: una misura che mira a offrire alle lavoratrici la possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro rispetto alle normali finestre di pensionamento, riconoscendo il peso che disuguaglianze e carichi familiari hanno avuto sulle loro carriere

In altre parole, l’Opzione Donna nasce come strumento di equità: non elimina il divario di genere, ma prova ad alleggerire le conseguenze di un percorso lavorativo che, per le donne, rimane ancora oggi un vero e proprio percorso a ostacoli.

Il nodo del calcolo contributivo

Nel corso di quasi vent’anni, Opzione Donna ha cambiato volto più volte. 

Le ripercorreremo insieme, ma qui ci soffermiamo su un elemento distintivo, e al tempo stesso più discusso, che nel corso del tempo non è mai cambiato e condiziona ancora oggi Opzione Donna: il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno.

È infatti utile ricordare che, in Italia, il calcolo delle pensioni dipende dal periodo in cui sono stati versati i contributi:

  • Metodo retributivo: riguarda i contributi versati prima del 1996. È generalmente più vantaggioso perché si basa sulla media delle retribuzioni degli ultimi anni di lavoro.

  • Metodo contributivo: obbligatorio per chi ha iniziato a versare contributi dopo il 1996. L’importo della pensione dipende dall’ammontare totale dei contributi versati durante tutta la carriera lavorativa.

  • Metodo misto: combina i due sistemi precedenti. I contributi versati prima del 1996 vengono calcolati con il metodo retributivo, mentre quelli successivi seguono il metodo contributivo.

Il vincolo previsto da Opzione Donna di calcolare la pensione esclusivamente con il metodo contributivo comporta quasi sempre una riduzione dell’importo pensionistico. La penalizzazione risulta particolarmente marcata per le lavoratrici con una carriera lunga e retribuzioni elevate anteriori al 1996, poiché in tal caso perderebbero la quota di pensione calcolata secondo il metodo retributivo, più favorevole.

Molte donne hanno accettato questa riduzione come “prezzo” per poter lasciare il lavoro in anticipo, soprattutto in presenza di carichi familiari importanti o condizioni di salute precarie. 

Tuttavia, non mancano critiche sul fatto che la misura finisca per accentuare le disuguaglianze di genere: a fronte di stipendi medi più bassi e carriere più discontinue, le donne si trovano con pensioni già ridotte che, con l’Opzione Donna, si abbasserebbero  ulteriormente.

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Le origini: la prima versione di Opzione Donna

Opzione Donna nasce con la Legge n. 243 del 2004, la cosiddetta “Riforma Maroni”, che in via sperimentale consentiva alle lavoratrici di lasciare il lavoro in anticipo, con requisiti meno rigidi rispetto ad altre forme di pensione anticipata.

I requisiti iniziali erano relativamente semplici:

  • età minima di 57 anni per le dipendenti e 58 anni per le lavoratrici autonome;
  • almeno 35 anni di contributi, a qualsiasi titolo accreditata (obbligatoria, da riscatto e/o da ricongiunzione, volontaria, figurativa);
  • ricalcolo della pensione interamente con il metodo contributivo.

Le modifiche e le proroghe: dal 2011 al 2022

Opzione Donna non è mai stata una misura stabile e definitiva. 

Al contrario, è stata oggetto di proroghe annuali e di continui rimaneggiamenti, in base alle scelte politiche e alle esigenze di bilancio dello Stato.

Un passaggio importante si è avuto con la legge n.92/2012 (cd. riforma Fornero), che non ha abolito la misura, ma ha introdotto il sistema delle “finestre mobili”, dei periodi di attesa tra la maturazione dei requisiti e la decorrenza della pensione pari a:

  • 12 mesi di attesa per le dipendenti
  • 18 mesi per le autonome
  • regole particolari per il comparto scuola e AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale), dove la decorrenza è fissata al 1° settembre o al 1° novembre.

Per fare un esempio, una lavoratrice dipendente che avesse maturato i requisiti, tra cui aver compiuto 57 anni, avrebbe dovuto comunque attendere un anno (58 anni) prima di ricevere il primo assegno pensionistico. Nel caso di una lavoratrice autonoma, invece, l’attesa sarebbe stata di un anno e mezzo, fino al compimento dei 59 anni e mezzo.

Una sorta di “cuscinetto temporale” che da un lato permetteva allo Stato di risparmiare, dall’altro rinviava di fatto l’accesso alla pensione.

Nel 2018, c’è stato un’altra revisione della misura che ha visto innalzare il requisito anagrafico, a parità delle altre condizioni:

  • 58 anni per le dipendenti 
  • 59 anni per le autonome.

In questo contesto, considerando sempre le finestre mobili, la lavoratrice dipendente avrebbe avuto accesso alla pensione a 59 anni, mentre quella autonoma avrebbe dovuto attendere fino al compimento dei 60 anni e mezzo.

Queste continue modifiche hanno contribuito a rendere l’Opzione Donna uno strumento incerto e poco prevedibile, legato di anno in anno alle decisioni politiche del momento.

La grande trasformazione: le Leggi di Bilancio 2023 - 2024

Il 2023 ha rappresentato una svolta importante per Opzione Donna. 

Con la legge n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023), Opzione Donna è stata prorogata ma anche profondamente modificata.

Se da una parte, venivano confermati alcuni requisiti come:

  • aver maturato almeno 35 anni di contributi;
  • il ricalcolo integrale della pensione con il metodo contributivo
  • la presenza delle finestre mobili di 12 mesi per le dipendenti e di 18 mesi per le lavoratrici autonome

dall’altra parte, si introducevano:

  • un nuovo limite di età, equiparato tra lavoratrici dipendenti e autonome, pari a 60 anni. Tale requisito era però ridotto di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di due anni di anticipazione.

    Per esempio, con un figlio la lavoratrice poteva accedere alla pensione a 59 anni,  con due o più figli a 58 anni.

  • condizioni specifiche entro i quali le lavoratrici devono rientrare e che hanno ristretto notevolmente la platea di riferimento:
    • essere caregiver che assistono familiari con disabilità grave;
    • lavoratrici con invalidità civile pari almeno al 74%;
    • essere lavoratrici licenziate o dipendenti di aziende in crisi.

Si tratta di una trasformazione sostanziale: da misura aperta a tutte le donne con determinati requisiti contributivi e anagrafici, l’Opzione Donna è diventata uno strumento riservato a categorie considerate più fragili o in difficoltà, assomigliando sempre più a una misura assistenziale piuttosto che uno strumento di equità che riconosce il peso che le disuguaglianze e i carichi familiari hanno avuto sulle carriere delle donne. 

Con la Legge di Bilancio 2024, Opzione Donna ha subito un’ulteriore restrizione, aumentando l’età di accesso a 61 anni di età ridotti, anche in questo caso a un anno per figlio, fino ad un massimo di due anni. 

La riduzione massima di due anni si applica anche in favore della categoria di lavoratrici dipendenti o licenziate da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale, anche in assenza di figli.

Opzione donna nel 2025

Fino al 31 dicembre 2025 è confermata la struttura di Opzione Donna così come prevista nel 2024. Riepiloghiamo qui di seguito requisiti e condizioni:

  • età anagrafica: 61 anni, con la possibilità di uno sconto di un anno per ciascun figlio, fino a un massimo di due anni; la riduzione massima di due anni è prevista anche per le lavoratrici dipendenti o licenziate da aziende coinvolte in un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale, indipendentemente dalla presenza di figli;

  • l’accesso è limitato a specifiche categorie di lavoratrici:
    • caregiver che, da almeno sei mesi, assistono un familiare con disabilità grave;
    • donne con un’invalidità civile pari o superiore al 74%;
    • lavoratrici licenziate o dipendenti di aziende in stato di crisi.

  • le finestre di decorrenza (“mobili”), cioè i tempi di attesa tra la maturazione dei requisiti e l’erogazione dell’assegno pensionistico, sono di
    • 12 mesi per le lavoratrici dipendenti;
    • 18 mesi per le lavoratrici autonome
    • regole particolari per il comparto scuola e AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale), dove la decorrenza è fissata al 1° settembre o al 1° novembre.

  • ricalcolo della pensione integralmente con il metodo contributivo. 

Prospettive future: verso un addio?

Il futuro di Opzione Donna appare oggi particolarmente incerto

Il primo testo della legge di bilancio 2026, infatti, non prevede alcun rinnovo della misura, così come non menziona un’altra formula di pensionamento anticipato ormai nota, Quota 103.

Le domande, a questo punto, sono molte: Opzione Donna è destinata a scomparire definitivamente? Oppure potrebbero emergere margini di spesa per reintrodurla nel corso dell’esame parlamentare?

Già da tempo diversi osservatori sottolineavano come la misura, nella sua configurazione attuale, avesse una platea troppo ristretta per incidere in modo significativo sul sistema pensionistico. Allo stesso tempo, però, la sua completa eliminazione era considerata un’ipotesi politicamente rischiosa e impopolare, poiché avrebbe significato cancellare una delle pochissime vie ancora disponibili per le donne che desiderano accedere in anticipo alla pensione.

Una possibile evoluzione, di cui però non vi è al momento alcuna traccia nella bozza della legge di bilancio, potrebbe consistere in un riordino complessivo delle misure di pensionamento flessibile

In tale prospettiva, Opzione Donna potrebbe essere convogliata all’interno di un quadro più organico, capace di valorizzare le specificità dei percorsi lavorativi femminili.

Da tempo, infatti, si discute della possibilità di introdurre meccanismi di riconoscimento contributivo per i periodi dedicati alla maternità o alla cura dei familiari, così da compensare in modo più equo le interruzioni e le discontinuità di carriera che ancora oggi incidono in misura significativa sulle lavoratrici.


Conclusioni

L’Opzione Donna rappresenta un caso emblematico della complessità del sistema pensionistico italiano: una misura nata con l’intento di favorire la flessibilità e di rispondere alle esigenze delle lavoratrici, ma che nel tempo è stata progressivamente ristretta e resa meno accessibile, fino probabilmente a scomparire.

Fino ad oggi è stato uno strumento riservato a una platea ridotta e soggetto a penalizzazioni significative sull’assegno, ma ha rappresentato comunque un’opportunità preziosa per chi, per ragioni familiari o di salute, non riusciva a proseguire fino ai requisiti ordinari.

Il dibattito sulla mancata presenza di Opzione Donna nella bozza della legge di bilancio resta acceso. 

Da un lato c’è chi ne chiede la proroga, ritenendola uno strumento necessario per tutelare le lavoratrici; dall’altro, chi la giudica troppo costosa e poco sostenibile per i conti pubblici. 

Ciò che appare evidente è che Opzione Donna rappresenta, forse più di ogni altra misura, il simbolo delle difficoltà del sistema previdenziale italiano nel trovare un equilibrio tra equità, sostenibilità e flessibilità.

Link utili e approfondimenti

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